venerdì 20 novembre 2015

Scuola Italo-Americana

Vivendo un anno all'estero, si notano notevolmente le differenze tra il paese in cui si sta vivendo e il proprio paese di origine. Nel mio caso, America-Italia, le discrepanze erano piuttosto evidenti.
Occupazione, economia, mentalità, possibilità di realizzarsi: potrei stare qui ad elencare milioni di cose che non combaciano tra ''i miei due mondi''.
Ma c'è una cosa in particolare che mi ha lasciato mesi da riflettere: la high school e il liceo messi a confronto.


A differenza di quanto molti di voi possano credere, non scambierei la mia scuola italiana per quella americana, a favore di club, cheerleader, armadietti e le solite cose da film. Piuttosto, la mia scuola ideale è una scuola Italo-Americana, una scuola in cui le mancanze americane siano riempite dalle eccellenze italiane e le nostre intransigenze vengano smorzate dalle loro libertà.

Nella mia scuola Italo-Americana si entra alle 8.20 come nel bel paese. Con la mente riposata e una giornata scolastica più corta, diventa facile concentrarsi.
Le ore sono da 54 minuti, con una pausa di 6 minuti tra una e l'altra, come una breve ricreazione del passing time americano, ma senza il loro tran tran ansiogeno. Cioè, in quei 6 minuti non si va all'armadietto correndo per cambiare i libri e arrivare alla prossima aula dall'altra parte della scuola in orario, ma si chiacchiera comodamente in classe o per il corridoio con gli amici per rinfrescarsi la mente e concedersi una breve pausa.
Gli armadietti sono assegnati ad ogni alunno e allineati per il corridoio come negli US, così che le cose che non servono a casa ma solo in classe possono stare lì in modo da alleggerire lo zaino da portarsi sulle spalle.

I compiti in classe e le interrogazioni derivano direttamente dal sistema scolastico Italiano: in America non viene abbastanza impartito un metodo di studio efficiente e non viene insegnato a tutti a sostenere colloqui formali, cosa che invece trovo indispensabile per la formazione dello studente.
Addio quindi test a crocette, progetti di gruppo dove alla fine lavora un solo malcapitato e programmi che non lasciano niente a chi li ha seguiti.

I programmi sarebbero un perfetto connubio tra Italia e America. Decisamente meno impegnativi dell'Italia, ma più formativi di quelli americani. Ho sempre trovato inutile quanto la scuola italiana porti a specializzarsi in tanti ambiti, e la maggior parte delle conoscenze acquisite vengano poi dimenticate e mai sfruttate, perché all'università si decide di studiare qualcosa di completamente diverso (metti la chimica organica del liceo scientifico, e giurisprudenza).

Dal Lunedì al Venerdì si affrontano 5 materie al giorno, nella propria classe e sempre con gli stessi compagni, in modo da favorire un ambiente più familiare e amichevole e la creazione di un team, come di solito avviene qui.
Il Sabato invece è il turno di 5 corsi a scelta dello studente su modello Americano: si ha così la possibilità di cambiare classe ogni ora e instaurare connessioni con un maggior numero di studenti, e l'occasione di imparare qualcosa di originale rispetto alle solite materie italiane e studiare cose attinenti al proprio piano di studi universitario.
Ad esempio un ragazzo che è interessato a studiare economia dopo il liceo, potrebbe frequentare la classe di macroeconomia 1 ora a settimana il Sabato.
Chi ha voglia di cimentarsi in un nuovo hobby, ha a disposizione corsi di fotografia, yoga, cucina, video making, scrittura creativa, web design (...)
Quelli che vogliono entrare a medicina, possono seguire corsi di ripasso e approfondimento delle materie scientifiche degli alpha test.

Il rapporto professore-studente è decisamente meno rigido. I professori sono giovani e continuamente stimolati con corsi di aggiornamento, workshop e seminari sui nuovi metodi di insegnamento.
Così la tecnologia sarebbe parte integrante dell'ora di lezione, proprio come negli States.
Ad ogni alunno sarebbe concesso portare il proprio portatile/iPad/smartphone per prendere appunti, seguire la lezione online e fare esercizi, che rende l'apprendimento molto più veloce.

Come in Italia, al liceo niente mensa e all'1.20 si torna a casa.
Il carico dei compiti però è inferiore, dal momento che la maggior parte del lavoro si concentra durante le ore di lezione.
Piuttosto, i ragazzi sono incoraggiati a prendere parte alle attività pomeridiane: club e sport, che sono parte integrante della vita scolastica.

Se fosse davvero così, se la scuola potesse trasformarsi in questo connubio perfetto, io sarei cresciuta cheerleader italiana, avrei dato maggior valore allo sport, ai miei hobby, avrei vissuto la scuola con molta meno ansia e avrei sfruttato meglio il mio tempo.
Senza quelle corse di ripasso dell'ultimo giorno e gli esami di stato che mirano ad assegnarti un voto sulla base della prestazione di una settimana di giugno, come se tu non fossi quella dei cinque anni precedenti (e dei 13 ancora prima), io sarei più me e meno Masci di Quinta E.

Io sarei più ragazzina e meno universitaria.
Io sarei più cultura generale e meno specializzazione.
Io sarei più umana e meno numero.


domenica 15 novembre 2015

Ma perché?

Travolta dal vortice di stragi e di uccisione dell'Isis a Parigi, ho avuto modo di riflettere molto. Ho avuto modo di pensare a quante vite, soprattutto giovani, sono state private del loro futuro e quante famiglie, le loro, sono rimaste sole con un vuoto incolmabile. 

Pensiamo ai likes su Facebook, a prendere più del nostro amico all'interrogazione, a lamentarci per problemi inesistenti, ad essere superficiali, materialisti e moralisti, quali siamo e siamo sempre stati, e intanto vite bruciano e volano via, e ogni volta che ci svegliamo rimaniamo sorpresi della crudeltà che c'è la fuori e inventiamo nuovi hashtags come se un #prayforparis buttato lì possa giovare a qualcuno. 

Insensibili, lontani, rimaniamo pietrificati a sentire di tali carneficine. E non parlo solo di Parigi e dell'Isis, ma di qualsiasi morte bruta, di qualsiasi malattia cattiva, di qualsiasi morte precoce, di qualsiasi dolore atroce. 
Tendiamo sempre a pensare che non tocchi a noi, che 'povera gente'. Stiamo male per gli altri, ma ci pensiamo inattaccabili. E da inattaccabili continuiamo con la nostra vita di sempre, dando importanza alle più grande stronzate e non a quelle che se la meritano, mentre compatiamo gli altri, che siano i Parigini, compaesani o chissà chi. 

Ho visto quella signora che ha perso il padre, e ho sentito a Parigi di centinaia di persone spente negli attentati, perché il mondo è veramente ingiusto. 
Ho visto ragazzini perdere genitori, volati via per motivi ignoti, spazzati via dal vento in un attimo. Oggi ci sono, domani no. 
Se quello non è un vortice, spiegatemi cosa lo è. 
Ho visto amiche piangere per un nonno che ha chiuso gli occhi e non li ha più riaperti, e le abbracciavo forte, mentre io di nonni ne avevo 4 e lo consideravo 'bello e normale'.
E io penso in tutto questo, di essere al sicuro.

Livia, non è così.

In questa normalità che ho scoperto che di scontato non c'è nulla. Che di invincibile non esiste nessuno. Che la vita è talmente effimera e leggera da spegnersi per un colpo di vento. E da 4 nonni, quella stessa settimana, sono passata ad averne 3. 
Mi continuo a chiedere perché non mi sia meritata di avere una nonna con cui festeggiare il giorno dei miei 18 anni, una a cui raccontare di ogni mia scelta e con cui ridere delle mie figuracce; quella con cui ogni partita a Burraco finiva con un 'nonna culo' e ogni puntata di verissimo era associata alle coccole e al pisolino. 
Credo che le stesse domande se le stiano ponendo i Francesi davanti al Bataclan.

Non sono inattaccabile, ma sono fortunata. 
Fortunata per essere stata attaccata adesso e non prima, perché per così tanto tempo ho avuto un'altra Livia a cui specchiarmi e con cui passare gli abbondantissimi pranzi. 
Fortunata nonostante stamattina un'ennesima notizia mi abbia mirato e abbia fatto nuovamente centro. Siamo così stupidi, così distratti, che continuiamo a scordarcelo di dire grazie per quello che abbiamo. Me ne sono dimenticata un'altra volta, e quando me ne sono ricordata, era troppo tardi.

Quell'abbraccio sarebbe dovuto essere più stretto.. tutti noi, dovremmo abbracciarci più stretti. Dovremmo dire grazie, sentirci fortunati, apprezzare la presenza di chi amiamo.

Non siamo mai al sicuro.
Un altro pianto.
Un altro si va avanti.
Un'altra botta che non nessuno si merita, a 18 anni.

lunedì 9 novembre 2015

Ho 18 anni

Ho 18 anni e non so cos'è cambiato.
Se non fosse che ora posso finalmente prendere il foglio rosa e firmare le giustificazioni a scuola, se non avessi festeggiato così in grande, sarebbe stato veramente un compleanno come un altro.
Ho guardato la data di nascita sulla carta d'identità e ho pensato di avere dal quel momento molto più potere. Quella firma adesso ha un valore legale. Ma mi sento la stessa e sono la stessa. E' davvero cambiato qualcosa?
Posso guidare la macchina, andare in carcere, sposarmi, fare un tatuaggio e decisioni permanenti senza il bisogno dei miei genitori, ma poi concretamente?

Lunedì c'è ancora la scuola, tutti in classe alle 8.20 quando avremmo voglia di fare ben altro. 18enni reclusi in classi da una vita, che hanno la mente all'università e il corpo ancora davanti alla lavagna per l'interrogazione.

Martedì c'è il colloquio scuola famiglia per i ragazzi indipendenti ma dipendenti come noi di quinta.

Mercoledì mamma mi accompagna in centro perché non so guidare e fa troppo freddo per prendere il motorino, mentre io a 18 anni vorrei avere la mia personal fiat 500 e girarmi il mondo.

Giovedì devo chiedere il permesso per andare in bagno alla professoressa, perché a 18 anni sono responsabile del mio futuro, ma non del mio viaggio nel corridoio della scuola.

Venerdì chiedo 10 euro ai miei genitori per andare in pizzeria con gli amici perché posso avere un lavoro e una famiglia, ma devo andare a scuola a dipendere da altri.

Sabato vado a comprare le sigarette ma mi chiedono un documento perché non sono una diciottenne credibile.

Domenica capisco che avere 18 anni non significa nulla. 18 anni sono come 17. 18 anni sono come 19. 18 anni sono la semplice formalità che abbiamo dato ad una ricorrenza personale, come se io dal 28 al 30 Ottobre fossi diventata una persona diversa.
Io continuerò ad avere 17 anni, se la piena indipendenza ed autonomia nelle scelte e nelle azioni che mi è stata data, continuerà ad essere solo apparente.

18 anni, cosa?


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