martedì 22 dicembre 2015

Amore 2.0

Ci chiamano generazione 2.0.
La generazione 2.0 che si innamora a 14 anni.

Si innamora a 14 anni, in un qualsiasi giro in centro, quando per combattere l'ansia di vivere ha bisogno di scaldarsi il cuore.
Si innamora su Facebook, girando profili in cerca di compagnia, e in discoteca per trovare un diversivo. Incrocia sguardi passeggiando e ne sceglie uno, uno qualsiasi, uno che gli possa far fare bella figura nelle foto su Instagram e che sia popolare su Twitter così i seguaci lievitano a vista d'occhio.
Il loro amore è così profondo che sbandierarlo sui social è inevitabile, così veritiero che lo stato di Facebook passa da single a ufficialmente impegnato. E per ogni rosa c'è una foto, per ogni bacio un selfie con citazione dal libro di filosofia del liceo, per ogni mesiversario un poema di 3 pagine per giurarsi amore eterno.

Poi ci sono io.
Io e gli altri pazzi che si innamorano sul serio, a 14 anni, e che non mollano la presa perché hanno bisogno l'uno dell'altro. Per anni, o per sempre, camminano per mano e non la vogliono smettere.

C'è una lei che ha cominciato presto. Era piccola, un po' spaventata, ma non abbastanza da non sentire il bisogno di farsi avanti, smuovere le cose, non perdere un attimo di tempo.
Bea in quegli occhi verdi ci vedeva il mondo e tutti i pianeti, ed ha imparato ad amarli, col tempo; ed è lì che ha cominciato a cambiare. Sì è allontanata dalla generazione 2.0, assumendo una spaventosa consapevolezza della sua diversità. Inusuale per un metro e settanta di ricci marroni.
Inusuale per una cinica e permalosa, che viveva in attesa del suo Richard Gere come in Pretty Woman, giurando di non accettare mai nulla che fosse meno di ciò che voleva.

Ma Bea è una bambina, e una bambina è una donna, e vuole i fiori a casa, le coccole sotto le coperte, le sorprese fuori casa, le fughe e le avventure. Bea è il centro dell'universo, vuole essere rassicurata, e ha bisogno di un Richard che non abbia difficoltà a mostrare, con gesti e parole, quanto la sua piccola 14enne sia importante.
Così un giorno ha letto troppi libri, ha riso troppo forte, ha ingoiato troppo vino, ed è andata via. Ha detto ciao a tutta la sua vita, si è voltata, e ha fatto un'altra strada per la via di casa per bisogno di aria nuova.
Lì, su quella stessa via che per 3 anni ha visto i loro passi affiancati e coordinati.

Bea infondo non è della vostra g-e-n-e-r-a-z-i-o-n-e 2.0. I mi piace a quella tipa non le sono mai piaciuti e il suo Richard doveva avere una sola donna, non 5. Forse non si bastavano più.
D'altronde lei si conosce, lei lo conosce. Conosce a memoria tutti i suoi sbagli, e quelli di lui, e sa che si erano persi sulla via del fatidico ritorno, e che davvero, forse per la prima volta, mettere un angolo alla pagina e chiudere il libro per riprenderlo più tardi, dallo stesso punto in cui lo aveva lasciato, era la scelta giusta.
Ma Bea la porta l'ha chiusa piano piano mentre la generazione corre veloce. Nuove facce su Facebook si tuffano in una chat pulita, appena aperta, pronte a mangiare il suo caro vecchio Richard. Che in quel boccone ci capiti un nuovo riccio tenerino è il suo augurio. O meglio, è la sua speranza per il suo Richard 2.0. Due punto zero, nuovo, irriconoscibile, come i ragazzi di questi tempi, malati di assenze, incapaci di presenze. Ssh, è ora di fare silenzio su Whatsapp, non c'è tempo per amori 2.0, l'upgrade delle nostre relazioni.


lunedì 7 dicembre 2015

Cosa vuoi fare da grande?

Cosa vuoi fare da grande è una domanda che ci viene chiesta da quando abbiamo 3 anni e sogniamo di essere ballerine, astronauti e presidenti, a quando arriviamo a fare una scelta concreta. A quel punto, ci lasciano in pace. Si presuppone infatti che se sei regolarmente iscritto a Medicina alla Cattolica e frequenti allegramente, allora ''da grande voglio fare il medico''.
Ma per arrivare a scegliere quella benedetta facoltà, eccome se si suda.

Ci chiedono cosa vogliamo fare da grande durante tutti gli anni delle scuole, e noi magari un'idea anche ce l'abbiamo ma la teniamo per noi stessi. Sarà la paura di non essere all'altezza o l'amara consapevolezza che l'idea è troppo lontana e troppo grande per essere realizzata, e ci limitiamo sempre a un ''c'è tempo''.
E' vero, c'è tempo per pensarci, c'è sempre stato tempo, dato che è da anni che uso quella risposta per sviare il discorso e allontanare l'ansia. Ma quando si arriva a 18 anni, al primo quadrimestre di Liceo Scientifico, con una responsabilità enorme sulle spalle, la scusa del tempo non vale più. E cosa rispondiamo?



Penso che vorrei fare la video maker, montare i trailer di Hunger Games per far impazzire milioni di spettatori nell'attesa; la youtuber, e incontrare Pewds nello Youtube Space a Los Angeles, quando ci passa; la life style photographer, e girarmene beatamente per il mondo come fanno Jay Alvarrez e Alexis Ren e la loro vita perfetta; la blogger, ma non di questo blog, di qualcosa di enorme e di successo. Vorrei fare un progetto come il Follow me di Murad Osmann per viaggiare in tutto il mondo, e la modella di Victoria's Secret a cui si specchia metà popolazione femminile; la designer di interni per lavorare sugli attici di Beverly Hills e far vivere super star in capolavori di case e la graphic designer così questo sito sarebbe un po' più carino.

Alla fine, dopo una serie di pensieri che si susseguono velocissimi e che non faccio in tempo a delineare per bene, dopo un paio di film ed essermi immaginata surfista sulle onde di Miami e ginnasta alle olimpiadi di Londra che manco un Oscar mi basterebbe come premio, rispondo che farò i test all'università e poi 'vedremo come va'.

Sì, vedremo come va a vivere le mie decine di seconde storie nella mente per una vita intera, e a precludermi di provare a fare qualcosa di alternativo solo per il gusto di aver tentato.
Anche se forse va bene così, che se fossimo tutti youtuber gli spettatori non li farebbe nessuno.

venerdì 20 novembre 2015

Scuola Italo-Americana

Vivendo un anno all'estero, si notano notevolmente le differenze tra il paese in cui si sta vivendo e il proprio paese di origine. Nel mio caso, America-Italia, le discrepanze erano piuttosto evidenti.
Occupazione, economia, mentalità, possibilità di realizzarsi: potrei stare qui ad elencare milioni di cose che non combaciano tra ''i miei due mondi''.
Ma c'è una cosa in particolare che mi ha lasciato mesi da riflettere: la high school e il liceo messi a confronto.


A differenza di quanto molti di voi possano credere, non scambierei la mia scuola italiana per quella americana, a favore di club, cheerleader, armadietti e le solite cose da film. Piuttosto, la mia scuola ideale è una scuola Italo-Americana, una scuola in cui le mancanze americane siano riempite dalle eccellenze italiane e le nostre intransigenze vengano smorzate dalle loro libertà.

Nella mia scuola Italo-Americana si entra alle 8.20 come nel bel paese. Con la mente riposata e una giornata scolastica più corta, diventa facile concentrarsi.
Le ore sono da 54 minuti, con una pausa di 6 minuti tra una e l'altra, come una breve ricreazione del passing time americano, ma senza il loro tran tran ansiogeno. Cioè, in quei 6 minuti non si va all'armadietto correndo per cambiare i libri e arrivare alla prossima aula dall'altra parte della scuola in orario, ma si chiacchiera comodamente in classe o per il corridoio con gli amici per rinfrescarsi la mente e concedersi una breve pausa.
Gli armadietti sono assegnati ad ogni alunno e allineati per il corridoio come negli US, così che le cose che non servono a casa ma solo in classe possono stare lì in modo da alleggerire lo zaino da portarsi sulle spalle.

I compiti in classe e le interrogazioni derivano direttamente dal sistema scolastico Italiano: in America non viene abbastanza impartito un metodo di studio efficiente e non viene insegnato a tutti a sostenere colloqui formali, cosa che invece trovo indispensabile per la formazione dello studente.
Addio quindi test a crocette, progetti di gruppo dove alla fine lavora un solo malcapitato e programmi che non lasciano niente a chi li ha seguiti.

I programmi sarebbero un perfetto connubio tra Italia e America. Decisamente meno impegnativi dell'Italia, ma più formativi di quelli americani. Ho sempre trovato inutile quanto la scuola italiana porti a specializzarsi in tanti ambiti, e la maggior parte delle conoscenze acquisite vengano poi dimenticate e mai sfruttate, perché all'università si decide di studiare qualcosa di completamente diverso (metti la chimica organica del liceo scientifico, e giurisprudenza).

Dal Lunedì al Venerdì si affrontano 5 materie al giorno, nella propria classe e sempre con gli stessi compagni, in modo da favorire un ambiente più familiare e amichevole e la creazione di un team, come di solito avviene qui.
Il Sabato invece è il turno di 5 corsi a scelta dello studente su modello Americano: si ha così la possibilità di cambiare classe ogni ora e instaurare connessioni con un maggior numero di studenti, e l'occasione di imparare qualcosa di originale rispetto alle solite materie italiane e studiare cose attinenti al proprio piano di studi universitario.
Ad esempio un ragazzo che è interessato a studiare economia dopo il liceo, potrebbe frequentare la classe di macroeconomia 1 ora a settimana il Sabato.
Chi ha voglia di cimentarsi in un nuovo hobby, ha a disposizione corsi di fotografia, yoga, cucina, video making, scrittura creativa, web design (...)
Quelli che vogliono entrare a medicina, possono seguire corsi di ripasso e approfondimento delle materie scientifiche degli alpha test.

Il rapporto professore-studente è decisamente meno rigido. I professori sono giovani e continuamente stimolati con corsi di aggiornamento, workshop e seminari sui nuovi metodi di insegnamento.
Così la tecnologia sarebbe parte integrante dell'ora di lezione, proprio come negli States.
Ad ogni alunno sarebbe concesso portare il proprio portatile/iPad/smartphone per prendere appunti, seguire la lezione online e fare esercizi, che rende l'apprendimento molto più veloce.

Come in Italia, al liceo niente mensa e all'1.20 si torna a casa.
Il carico dei compiti però è inferiore, dal momento che la maggior parte del lavoro si concentra durante le ore di lezione.
Piuttosto, i ragazzi sono incoraggiati a prendere parte alle attività pomeridiane: club e sport, che sono parte integrante della vita scolastica.

Se fosse davvero così, se la scuola potesse trasformarsi in questo connubio perfetto, io sarei cresciuta cheerleader italiana, avrei dato maggior valore allo sport, ai miei hobby, avrei vissuto la scuola con molta meno ansia e avrei sfruttato meglio il mio tempo.
Senza quelle corse di ripasso dell'ultimo giorno e gli esami di stato che mirano ad assegnarti un voto sulla base della prestazione di una settimana di giugno, come se tu non fossi quella dei cinque anni precedenti (e dei 13 ancora prima), io sarei più me e meno Masci di Quinta E.

Io sarei più ragazzina e meno universitaria.
Io sarei più cultura generale e meno specializzazione.
Io sarei più umana e meno numero.


domenica 15 novembre 2015

Ma perché?

Travolta dal vortice di stragi e di uccisione dell'Isis a Parigi, ho avuto modo di riflettere molto. Ho avuto modo di pensare a quante vite, soprattutto giovani, sono state private del loro futuro e quante famiglie, le loro, sono rimaste sole con un vuoto incolmabile. 

Pensiamo ai likes su Facebook, a prendere più del nostro amico all'interrogazione, a lamentarci per problemi inesistenti, ad essere superficiali, materialisti e moralisti, quali siamo e siamo sempre stati, e intanto vite bruciano e volano via, e ogni volta che ci svegliamo rimaniamo sorpresi della crudeltà che c'è la fuori e inventiamo nuovi hashtags come se un #prayforparis buttato lì possa giovare a qualcuno. 

Insensibili, lontani, rimaniamo pietrificati a sentire di tali carneficine. E non parlo solo di Parigi e dell'Isis, ma di qualsiasi morte bruta, di qualsiasi malattia cattiva, di qualsiasi morte precoce, di qualsiasi dolore atroce. 
Tendiamo sempre a pensare che non tocchi a noi, che 'povera gente'. Stiamo male per gli altri, ma ci pensiamo inattaccabili. E da inattaccabili continuiamo con la nostra vita di sempre, dando importanza alle più grande stronzate e non a quelle che se la meritano, mentre compatiamo gli altri, che siano i Parigini, compaesani o chissà chi. 

Ho visto quella signora che ha perso il padre, e ho sentito a Parigi di centinaia di persone spente negli attentati, perché il mondo è veramente ingiusto. 
Ho visto ragazzini perdere genitori, volati via per motivi ignoti, spazzati via dal vento in un attimo. Oggi ci sono, domani no. 
Se quello non è un vortice, spiegatemi cosa lo è. 
Ho visto amiche piangere per un nonno che ha chiuso gli occhi e non li ha più riaperti, e le abbracciavo forte, mentre io di nonni ne avevo 4 e lo consideravo 'bello e normale'.
E io penso in tutto questo, di essere al sicuro.

Livia, non è così.

In questa normalità che ho scoperto che di scontato non c'è nulla. Che di invincibile non esiste nessuno. Che la vita è talmente effimera e leggera da spegnersi per un colpo di vento. E da 4 nonni, quella stessa settimana, sono passata ad averne 3. 
Mi continuo a chiedere perché non mi sia meritata di avere una nonna con cui festeggiare il giorno dei miei 18 anni, una a cui raccontare di ogni mia scelta e con cui ridere delle mie figuracce; quella con cui ogni partita a Burraco finiva con un 'nonna culo' e ogni puntata di verissimo era associata alle coccole e al pisolino. 
Credo che le stesse domande se le stiano ponendo i Francesi davanti al Bataclan.

Non sono inattaccabile, ma sono fortunata. 
Fortunata per essere stata attaccata adesso e non prima, perché per così tanto tempo ho avuto un'altra Livia a cui specchiarmi e con cui passare gli abbondantissimi pranzi. 
Fortunata nonostante stamattina un'ennesima notizia mi abbia mirato e abbia fatto nuovamente centro. Siamo così stupidi, così distratti, che continuiamo a scordarcelo di dire grazie per quello che abbiamo. Me ne sono dimenticata un'altra volta, e quando me ne sono ricordata, era troppo tardi.

Quell'abbraccio sarebbe dovuto essere più stretto.. tutti noi, dovremmo abbracciarci più stretti. Dovremmo dire grazie, sentirci fortunati, apprezzare la presenza di chi amiamo.

Non siamo mai al sicuro.
Un altro pianto.
Un altro si va avanti.
Un'altra botta che non nessuno si merita, a 18 anni.

lunedì 9 novembre 2015

Ho 18 anni

Ho 18 anni e non so cos'è cambiato.
Se non fosse che ora posso finalmente prendere il foglio rosa e firmare le giustificazioni a scuola, se non avessi festeggiato così in grande, sarebbe stato veramente un compleanno come un altro.
Ho guardato la data di nascita sulla carta d'identità e ho pensato di avere dal quel momento molto più potere. Quella firma adesso ha un valore legale. Ma mi sento la stessa e sono la stessa. E' davvero cambiato qualcosa?
Posso guidare la macchina, andare in carcere, sposarmi, fare un tatuaggio e decisioni permanenti senza il bisogno dei miei genitori, ma poi concretamente?

Lunedì c'è ancora la scuola, tutti in classe alle 8.20 quando avremmo voglia di fare ben altro. 18enni reclusi in classi da una vita, che hanno la mente all'università e il corpo ancora davanti alla lavagna per l'interrogazione.

Martedì c'è il colloquio scuola famiglia per i ragazzi indipendenti ma dipendenti come noi di quinta.

Mercoledì mamma mi accompagna in centro perché non so guidare e fa troppo freddo per prendere il motorino, mentre io a 18 anni vorrei avere la mia personal fiat 500 e girarmi il mondo.

Giovedì devo chiedere il permesso per andare in bagno alla professoressa, perché a 18 anni sono responsabile del mio futuro, ma non del mio viaggio nel corridoio della scuola.

Venerdì chiedo 10 euro ai miei genitori per andare in pizzeria con gli amici perché posso avere un lavoro e una famiglia, ma devo andare a scuola a dipendere da altri.

Sabato vado a comprare le sigarette ma mi chiedono un documento perché non sono una diciottenne credibile.

Domenica capisco che avere 18 anni non significa nulla. 18 anni sono come 17. 18 anni sono come 19. 18 anni sono la semplice formalità che abbiamo dato ad una ricorrenza personale, come se io dal 28 al 30 Ottobre fossi diventata una persona diversa.
Io continuerò ad avere 17 anni, se la piena indipendenza ed autonomia nelle scelte e nelle azioni che mi è stata data, continuerà ad essere solo apparente.

18 anni, cosa?


mercoledì 21 ottobre 2015

Perché l'Italia?

Sono tornata ormai da tanti mesi, ma ora più di sempre mi sento dire da tanti: 'ma cosa fai qui? perché non torni in America?'. Si stupiscono della mia riposta, del mio sincero dire che al momento preferisco l'Italia, perché per tutti l'America è la salvezza, il sogno, la vita vera. E l'Italia a confronto non vale nulla.
Ora vi spiego perché non è così.

Perché l'Italia?
Americani, io preferisco l'Italia sin dal mattino. Mi sveglio alle 7.30 con molta calma, con la scuola che inizia soltanto alle 8.20  (e a volte anche dopo). Senza la rituale sveglia delle 5.30/6 di Shoreview e la classe di matematica alle 7.15 si vive molto meglio.

Affronto le mie 5 ore di lezione, intense per davvero, senza cellulare, ipocrisie e perdite di tempo, consapevole che la formazione liceale italiana sia molto valida.
Do' del Lei ai miei professori, per imparare il rispetto verso gli adulti che mi porterò dietro tutta la vita.
Posso girarmi quando voglio a chiedere un aiuto, e posso confrontarmi con i compagni di classe se ho bisogno di un consiglio. Li conosco da sempre, da 5 anni a questa parte, e siamo cresciuti insieme nel vero senso della parola.
Non ho 6 classi da cambiare a semestre come voi: ogni mattina darò il buongiorno sempre ai soliti 19 sorrisi (o bronci, certo, dipende dalla giornata) e questo mi da' stabilità e sicurezza.

Prendo l'iPod e torno a casa a piedi, ma non prima di essermi fermata sulle panchine con alcuni dei soliti 19 per una sigaretta, una risata e un resoconto della giornata. Così il buongiorno diventa più bello.
Non abbiamo fretta, né allenamenti improrogabili di 3 ore a pomeriggio. Torniamo a casa per pranzo, niente mensa americana che preferisco dimenticare. Piuttosto dopo una lunga giornata di scuola, ogni giorno c'è sul tavolo il rituale piatto abbondante di pasta.

Preferisco l'Italia quando guardo l'armadio e dopo una lunga e studiata scelta su cosa mettermi, esco e guardo intorno a me persone con lo stesso gusto per il bello. A scuola nessuno viene in ciabatte, pigiama o sweat pants come a voi piace.
Non ho difficoltà a trovare un paio di jeans di un buon tessuto o una maglietta con un taglio che mi stia bene. La moda italiana è il meglio che si possa trovare, anche nel low cost.

Noi italiani apparecchiamo la tavola per i pasti, e ci sediamo tutti intorno allo stesso tavolo per prenderci almeno quei 30 minuti di family time al giorno. Forse non ci pensiamo, ma non è così in tutto il mondo. I vostri pranzi (grassi) di avanzi della settimana mangiati sul divano, in giardino o addirittura sul mio letto da sola, capirete bene che non mi mancano per niente.

Come non mi manca neanche correre tra una classe e l'altra, allenarmi fino allo sfinimento, non poter saltare una giornata di sport, né una giornata di scuola per dormire un po' di più. Voi siete rigorosi, severi, e so che sono qualità che dovremmo ammirare, ma noi Italiani questa durezza non ce l'abbiamo nel sangue e non c'è niente da fare: there's no place like home.

Preferisco l'Italia quando ci si incontra alle 8/8.30 perché siamo tutti cresciuti con i 30 minuti di margine, anche se poi è classico che si finisca per arrivare alle 9.
Viviamo come i bradipi, con il nostro pisolino dopo pranzo, l'aperitivo dopo scuola con tutta calma, i ritardi all'ordine del giorno, gli allenamenti che si possono saltare quando ''oggi proprio non mi va''. Senza questo stile di vita non saremmo noi.

Il nostro clima è invidiabile. Abbiamo vere estati e veri inverni e soprattutto le mezze stagioni, ormai scomparse nel resto del mondo. Viviamo in montagna e in qualche ora siamo al mare. Viviamo al mare e l'inverno andiamo a sciare. Abbiamo le isole per le vacanze estive e le Alpi per quelli invernali e tutta la varietà che si possa desiderare in così pochi chilometri di raggio.

Quando ho bisogno (o voglia, soprattutto) di fare shopping, ho a disposizione centri commerciali ma anche centri storici che offrono una grande varietà di scelta. Ma ascoltate bene: nel caso scegliessi i primi, pur essendo sotto i 19 anni il Sabato e la Domenica posso passeggiare con le mie amiche senza essere accompagnata da un adulto. Voi rimarreste stupiti di questa nostra libertà, ma vi assicuro che un po' di indipendenza non guasta.

Amiche? A proposito, sapete che le saluto con due baci sulla guancia, una bella stritolata e tante tante chiacchiere? Mi fermo ovunque, che sia per il corridoio a scuola o nel centro città, per sapere come stanno, per chiedere aggiornamenti e farmi una risata. Non mi sono mai piaciuti i vostri 'sup' di sfuggita che non lasciano niente a nessuno e che non hanno nulla a che vedere con il nostro calore.

So che ci invidierete le nostre serate in discoteca, con ingresso aperto a tutti ma davvero tutti e non dai 22 anni in su. Sigarette, alcol, spesso anche droghe purtroppo: noi esageriamo, avete perfettamente ragione, ma almeno un bicchiere di champagne ai ragazzini per capodanno perché non glielo concedete?

Preferisco l'Italia perché posso iscrivermi all'università pubblica senza essere costretta a fare un mutuo, e posso imparare l'indipendenza senza dover vivere in un dorm con pasti preparati e orari controllati obbligatori.

Credo sia inutile continuare a dirvi di quanto qui si viva bene, sebbene ci sia l'altra parte della medaglia che tende a volte a sovrastare il lato positivo. Non conoscete le nostre acide tasse, l'alta disoccupazione, il classico raccomandato, la benzina d'oro, i trucchi, gli imbrogli, i fallimenti, la corruzione, la crisi.
E c'è anche da dire che i miei giudizi provengono dalla mia esperienza limitata a 10 mesi, probabilmente non perfettamente rappresentativa di un'intera nazione così grande come lo sono gli Stati Uniti.
Eppure..

Eppure ve l'ho detto, non mi mancate.
Io sono nata e cresciuta, appartengo e continuerò ad appartenere a questa società di bradipi.
Voglio continuare a svegliarmi tardi e fare ritardi, a stroccare il giorno di San Cosimo e portare giustificazioni ingiustificate. Voglio essere una cristiana incoerente con il crocifisso in classe. Voglio lamentarmi del governo che non funziona e di aver votato il solito politico sbagliato. Voglio riandare in vacanza in Sicilia e fare tocca e fuga verso Roma, passeggiare per il Corso mangiando il mio cartoccio di castagne o un gelato gigante, anche se ho appena finito un piatto di pasta. Voglio vedere il cielo che tramonta dietro le montagne dopo una giornata passata a studiare per un'interrogazione, e non voglio mai smettere di sventolare la bandiera italiana anche se tendiamo a nasconderla.

Dobbiamo invidiare l'America o dovete invidiarci l'Italia?
Tocca a voi dirlo.



mercoledì 23 settembre 2015

Esami di Settembre

Playlist per la lettura: Jovanotti - Pieno di vita

Vi anticipo che sarà un post lunghissimo, nonché probabilmente l'ultimo sulla mia America. Abbiate cura di gustarvelo fino in fondo. Spero che post come questo vi mancheranno.

Eccomi al termine di un percorso, che in realtà ho già decretato più volte finito: con gli esami integrativi di Settembre e la riammissione in classe quinta, non sono più ufficialmente un'exchange student, ma (forse) semplicemente una studentessa di Liceo Scientifico.
Che io ne sia contenta o no, poi, questa è un'altra storia.

Sicilia
3 mesi di Estate alla fine non sono niente. Si vivono intensamente, si è impegnati con le mille cose da fare, le liste di buoni propositi mai mantenuti, e poi alla fine si finisce per pensare di aver perso tempo.

E così anche per me: l'estate mi è sembrata sfuggire dalle mani.
Sarà che avevo troppe cose da ''recuperare'', mettiamola così, e non solo scolasticamente parlando ma anche (e soprattutto) umanamente, con questa voglia pazzesca di stare con le persone che non avevo visto per 10 mesi, godermi il caldo che ai -40° Minnesotiani mi era mancato, leggere tanti libri rigorosamente in Italiano, essere turista del mio stesso paese. Insomma, volevo godermi casa.

Eppure di cose ne ho fatte. Sono stata al mare per ben due mesi, ho passato un bel weekend a L'Aquila con la mia squad Interactiana, ho festeggiato svariati compleanni, partenze, ritorni, battesimi, mangiato pizza in quantità vergognose, abbronzata da far concorrenza a parecchi miei amici americani del sud (anche se ormai la tinta l'ho già persa quasi del tutto).
Sono stata in Sicilia con tutta la mia famiglia, in una vera e propria 10-days-road trip all'Americana: di città in città, la costa di un'intera regione.
E poi? Poi ho fatto grandi nuotate, sono stata una damina del Medioevo per due giorni, ho incontrato a Roma la mia amica tedesca Lea, e sono stata al concerto di Fedez e Jovanotti.

Giostra cavalleresca di Sulmona

Insomma, posso dire che non mi sono fatta mancare niente.

Dall'altra parte però c'è stato lo studio spesso intenso per gli esami integrativi di Settembre, il cui unico scopo era quello di assegnarmi il numero di crediti per la classe quarta, dato che comunque ero promossa all'ultimo anno per legge.
Vi riporto qui la mia esperienza personale in maniera sintetica, ma sappiate che

  1. Le modalità dell'esame integrativo variano da scuola a scuola. Alcune danno tutto il programma di tutte le materie (e vi giuro a quel punto vi consiglio di cambiare scuola), altre un programma ridotto, e altre ancora non prevedono un esame ed assegnano il numero di crediti in base ad altri criteri (quali 8 crediti massimi per il coraggio di fare un'esperienza così fantasmagorica mitica, oppure gli stessi crediti della terza, o ancora i crediti in base alla media nella scuola straniera, ecc.)
  2. se avete altre domande mi fa piacere rispondervi, e come sempre sapete che potete scrivermi su Facebook, Instagram Direct o qui sotto nei commenti

Quindi, io ho portato 2 materie scritte (italiano e matematica) e 7 agli orali (italiano, fisica, chimica, latino, filosofia, storia, storia dell'arte). Le date degli esami sono state il 2, 5 e 8 Settembre.
L'estate ho studiato molto da autodidatta, ho fatto un paio di lezioni private di matematica e soprattutto la dolcissima e santissima Dalì mi ha sopportata tutta l'estate e mi ha aiutata con tutti i programmi. Quindi, davanti a centinaia di persone che leggono, le dichiaro ufficialmente il mio amore, perché auguro anche a voi di trovare un'amica come lei.
Grazie Dalì.

Posso dire che questi esami sono andati molto bene. Il colloquio è stato parecchio informale, ho risposto a tutto e mi pare di aver fatto una bella impressione. E alla fine, 7 crediti.

Cari dubbiosi o decisi futuri exchange students, il ritorno non è come ve lo raccontano.
Non avrete lo shock culturale inverso, né grandi difficoltà a reintegrarvi nella società italiana. Non vorrete immediatamente tornare in America, né prenderete 3 ad ogni compito in classe di quinta.
Il ritorno è quello che è: semplicemente un mattone in più nel muro del vostro grande percorso.
Come avete sopravvissuto l'interrogazione di Latino quando non avevate aperto libro, la frattura al polso che faceva malissimo, la paura di salire sul palco davanti a una grande platea, supererete anche questo.
Non vi nego che dovrete darvi da fare però.
Quest'estate per esempio ho passato tante (forse troppe) ore sui libri anziché sul lettino dello stabilimento, e troppo tempo a studiare anziché vivere, ma non me ne sono mai fatta un cruccio. Ripeto, faceva parte del mio percorso, e come ne ho accettato i lati positivi, in quel momento bisognava incassarne i negativi.
E poi ho dovuto correggere il mio rapporto con la ''società''. Dopo la prima settimana non ero più quella che era andata in America, ma ero Livia Masci punto, e per fortuna non l'ho capito troppo tardi. Sono scesa dal piedistallo, ho fatto una parola di meno quando andava fatta, ho cominciato a raccontare molto di meno della mia esperienza e piuttosto a fare io domande agli altri. ''Raccontami, che hai fatto quest'estate?, ma davvero?, che bello sono così contenta per te! Io?, sono stata molto bene in America, grazie, ma comunque, dicevi di te?''
In classe mi nascondo quando mi tocca parlare in inglese e tendo a sviare il discorso quando si parla troppo di me. Forse ho preso una posizione un po' estremista, e per non essere superba sono diventata estremamente umile, ed è sbagliato anche questo. Ma lo faccio semplicemente per paura di passare per quella che è andata in America e ora è sul piedistallo del mondo. Vi giuro, quella non sono io.

Ci siamo: andiamo a tirare le somme?
Bisogna affrontare giorni di estrema nostalgia, un Natale fuori casa, la voglia di tornare a casa, qualche kilo accumulato e diverse paure da superare. Ci si deve sentir pronti a partire bambini e tornare adulti, con tutto quello che comporta. Sappiate che rideranno di voi, in Italia e in America (o ovunque andiate), perderete qualche amico, riceverete delle occhiate invidiose e magari ci rimarrete anche male. Ma se vi capita quest'opportunità, davvero, non lasciatevela sfuggire.
Abbiate il coraggio di lasciare casa, nonostante l'anno di scuola da recuperare; non lasciatevi spaventare da niente di quello che altri vi hanno raccontato. Se una come me, che di difetti abbonda, è riuscita a farcela ed è tornata anche soddisfatta, allora perché non ce la potete fare anche voi? Ascoltatemi, ce la farete.
Ce la farete dall'altra parte dell'oceano. E al reinserimento, ce la farete da questa parte dell'oceano.

Questa parte dell'oceano: CASA

E a proposito di questo ho qualcosa da dire. Spero che qualcuno di voi si sia accorto nel cambiamento nel nome del mio blog. Da ''dall'altra parte dell'oceano'', si è fatto spazio un sottotitolo: ''da questa parte dell'oceano'', a significare che sì, questo sarà l'ultimo post ufficiale sull'exchange year, ma la mia avventura non finisce qua. Ci saranno così tante altre cose da raccontare negli anni che meriteranno di essere condivise.
Incoraggiata da tanti lettori entusiasti, ho così deciso di continuare a scrivere, per rimanere un punto di riferimento per chi vuole partire, ma spero anche per chi vuole restare.
Per condividere pezzi della mia vita, pensieri vaganti e perché no, magari anche altri viaggi.
Sappiate che la WEP mi ha contattata per diventare Wep Buddy, così se deciderete di partire potrete chiamarmi via telefono per un consulto e farmi domande, potreste ritrovarvi una Livia davanti all'orientation pre partenza, come testimone agli Infoday o assistente negli uffici Wep. Insomma, di me non vi libererete alla fine.
Per chi ha voglia di non perdersi i prossimi post, da adesso ci si può iscrivere alla newsletter sulla versione web del mio blog.

Vi ringrazio per avermi accompagnata in un bellissimo anno. Spero di essere riuscita a trasmettere il messaggio giusto e di aver fatto vivere anche a voi un po' di America. Per chi ne ha intenzione continuate a scrivermi, a fare quelle mille domande incuriosite a cui amo rispondere.

E a chi ne ha l'opportunità: partite.
Ne vale la pena.
Salutatemi dall'alto di quel finestrino il resto del mondo e fatevi brillare gli occhi per la gioia di una nuova avventura.
Stay awesome

Livia

lunedì 14 settembre 2015

Il valore dell'anno all'estero

Bentornata (?), spero di sì.
Dopo una lunga e intesa estate di studio e non, sono tornata a scuola nella mia cara e vecchia Sulmona. Il racconto di questi bellissimi tre mesi ve li riservo per il prossimo post. Intanto qui vi incollo il tema che ho consegnato nella prova di italiano che ho dovuto fare a settembre. Traccia: pensiero sul valore dell'anno all'estero.

Roadtrip in Sicilia, Agosto 2015


C'erano una volta un universo in evoluzione, un mondo in connessione, un'Italia in difficoltà e un progetto che la risolleva. Si tratta di Intercultura, progetto nazionale promosso dal Ministero dell'Istruzione, nonché dall'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che al tempo della sua carica, pronunciava le seguenti parole:
''Dal 1955 a oggi migliaia di ragazzi hanno aderito con entrassimo al progetto Intercultura che ha aperto le scuole al mondo (...) per contrastare i fenomeni di razzismo e intolleranza.''

In una società così globale, in cui le connessioni sociali tra un capo e l'altro del mondo sono istantanee, e la voglia dei giovani di esplorare nuove possibilità è travolgente, migliaia di ragazzi ogni anno abbandonano le loro abitudini e certezze, per vivere dieci mesi di esperienza all'estero.
Lasciano il nido sicuro per un mondo di domande, ma pur sapendo di essere continuamente messi alla prova, volano via come avessero le ali.
E così gli aeroporti ad Agosto diventano affollati con famiglie che si abbracciano strette, e con quelle madri dalle mille raccomandazioni che mai avrebbero pensato di doversi separare così a lungo dal loro bambino. Eppure lo fanno, li lasciano andare, e non si tratta di pochi casi, ma di un fenomeno decisamente in crescita che coinvolge giovani da tutta Italia, o meglio, da tutto il mondo.

Partiti ad Agosto 2014 per centinaia di destinazioni diverse, avevano (e hanno) tutti un grande coraggio in cuore, ma mi chiedo: se fossero toccati all'Africa, all'Alaska o al Medio Oriente, tutto questo coraggio l'avrebbero avuto?
La destinazione di molti era l'America, anche se guardando indietro a ciò che è stato, più che destinazione loro lo definiscono destino.
L'America dei 50 Stati, gli Stati Uniti, quell'estate omogeneamente cosparsi di 700 piccoli Italiani come i 700, o meglio 7000, fiocchi di neve caduti su quelle terre gelide.
Un esercito di 17enni che si è aperto al mondo, ha esplorato ogni dove, intesa come esperienza di esplorazione esteriore e soprattutto interiore, e per mesi ha voluto mettersi alla prova. E non c'è dubbio che qui, adesso, estate 2015, al loro ritorno, la nostra Italia ha riavuto un piccolo tesoro indietro.
In molti si chiederanno perché, ed ecco allora, permettetemi di spiegare.

Questi ragazzi sono tornati diversi, nuovi, arricchiti, incontenibili. Hanno fatto il giro del mondo, rigirato il loro punto di vista, imparato il rispetto di fronte a una bandiera che non era la loro. Si sono messi alla prova durante i compiti in classe in una lingua che non capivano, e ascoltato una messa di natale che in confronto sarebbe stata più comprensibile in Latino, sempre se la fortuna di festeggiare il Natale l'hanno avuta.
Eppure erano contenti, chi più di loro!, quando prendevano il primo voto alto, superavano i provini di teatro, conoscevano un nuovo amico, imparavano una nuova parola. Sono tornati dei ragazzi internazionali, ma Italiani dentro, che fieri hanno portato la loro cultura nel mondo, paladini del nostro Paese.

C'è da scommettere che di fronte a quei visi nuovi e freschi, a quegli occhi che hanno visto tutto il mondo e a quei cuori consapevoli che c'è altro oltre le coste del Mar Mediterraneo, nessuna di quelli madri spaventate si è mai pentita al loro ritorno di averli lasciati spiccare il volo. Perché i ragazzi ora avranno molto altro da condividere, storie da raccontarsi, tenute strette nel petto fino al giorno del ritorno, e saranno fieri di aver colto nelle parole dell'ex presidente della Repubblica, un invito unico e senza pari.

Per una generazione che nasce con l'idea che il nostro Paese non ha un futuro, non credete ci sia la necessità di scommettere su progetti come questo, di lasciare i giovani liberi del mondo per poi raccoglierli brillanti di nuove idee e fiduciosi del loro avvenire? Dicono che il patriottismo spesso si costruisca all'estero, dunque, li lasciamo andare?

Chiedetelo a loro, sapranno darvi una bella risposta.
Chiedetelo a me, ho 17 anni e sono una di loro.

lunedì 13 luglio 2015

Com'è tornare a casa

Ti hanno insegnato che nella vita devi imparare a dire di no. Falso. La vera cosa difficile da dire è sì.
Sì ai treni che passano una volta sola. Sì a chi non ne perde mai uno. Sì a chi non sale, perchè ha voglia di aspettare il prossimo. Sì al desiderio di ogni italiano di lasciare il proprio paese. Sì alla voglia di tornare a casa. Sì a chi va in capo al mondo a cercare risposte. Sì a chi torna a casa con più domande di prima. Say yes.

L'app del countdown non la apro ormai da parecchie settimane. Non c'è più niente da aspettare con ansia: eventi importanti, feste, cerimonie o ritorni a casa per cui non dormo la notte sono rimasti in Minnesota.
E' passato solo un mese, ma l'America sembra un sogno. Lontana anni luce, quasi irreale, come se tutto ciò non fosse mai successo.
Il grande interessamento iniziale di chi non vedevo da un anno, si è ridotto al solito pettegolezzo e alle classiche chiacchiere del ''come va''. La gloria del ritorno dall'exchange year è scomparsa, e con quella tutti gli entusiasmi, lo stupore del rivedersi, i ''mi sei mancata'',  i sorrisi a mille denti.
Ormai tutti danno per scontato che io sia lì, affianco a loro.

La mia vita è tornata quella che era, ma io no. Ho la consapevolezza di quanto il mondo sia grande, e ho una voglia di conquistare l'europa e viaggiare il pianeta incontenibile. Ho molta più voglia di studiare, perchè ora ho ambizioni ben più grandi di quelle che avevo prima di partire.

Le belle abitudini che mi ero costruita negli USA e tutti i buoni propositi che aveva fatto li ho mantenuti. Sto leggendo tantissimo, faccio sport tutti i giorni, sto all'aria aperta, studio a sufficienza, mi incontro con un sacco di gente e ho in programma di fare due bei viaggi nelle prossime settimane.
Direi che questo anno mi ha cambiata in meglio.

Tornare a casa è difficile, ma non troppo. Ho trovato persone che volevano sapere tutto del mio viaggio (interiore e non) e con cui mi sono confidata e ho amato parlare. Ma ci sono state anche quelle a cui non è interessato nulla di quando ho preso l'aereo e ho sorvolato l'oceano, e con cui ho avuto grandi difficoltà a capirmi e trovare un punto di incontro.

Il punto è che avevo e ho ancora voglia di buttare tutto fuori per condividere finalmente con persone italiane e amiche quello che mi è successo negli ultimi 11 mesi, perchè avere qualcuno con cui parlare così mi era mancato! Ma non tutti sanno capire, ed è normalissimo, perchè non avendolo vissuto con te non provano lo stesso bisogno che hai di condividere.

E' finita così, dopo 10 mesi e tanti aerei, mi sveglio ormai da tanti giorni nella mia città e non potrei chiedere di meglio.


lunedì 15 giugno 2015

La fine

Arriverà la fine, ma non sarà la fine.

Sono passati esattamente 7 giorni da quando sono atterrata a Roma, 3 valigie, uno zaino, e il cuore che esplodeva.
Sono passati 7 giorni da quando ho messo da parte l'America, e smesso di raccontare.

Questi giorni sono volati con l'intensità di quelle giornate italiane che non finiscono mai. Prendere il motorino, andare in centro, partire, tornare, fare come voglio io e quando voglio, è una libertà pazzesca che mi era mancata tantissimo.

In aeroporto ho rivisto i miei genitori e mia sorella, e per la prima volta non ho pianto. Il mio cuore diviso a metà tra quello che avevo lasciato indietro e quello che mi aspettavo. Dicevano che non sarebbe stato mai più lo stesso e avevano ragione.

Roma era bella come sempre, nonostante il traffico e il ritardo degli aerei. Sono arrivata a Sulmona, ho sentito l'odore di casa e mi sono subito fiondata a casa di Luigi.

Premetto che nessuno sapeva che sarei tornata l'8 Giugno: tutti pensavano fossi a New York e che sarei tornata l'11. Perciò quando lui mi ha vista su Facetime che inquadravo casa sua da fuori, il cuore si è fermato a tutti e due. A lui, per lo stupore che fossi davvero lì fuori. A me, per l'emozione di sapere che finalmente eravamo a due passi dal riabbracciarci.

E' stato emozionante, surreale. Tutto l'anno ne sarebbe valso la pena soltanto per quell'abbraccio. Tutta la distanza frantumata in un ''mi sei mancato tantissimo''.
Alla fine, siamo sempre noi.

Luigi ed io
Il giorno dopo sono andata a scuola. Era l'ultimo giorno nel mio liceo, e in un trantran continuo mi sono infilata di nascosto e sono entrata in classe. Lo stupore di tutti e i miei occhi contenti dicevano tutto. Un bellissimo bentornata a casa, bentornata tra noi.

Anche rivedere le mie amiche della scuola di danza è stato bellissimo. Ci siamo incontrate a teatro durante le prove dello spettacolo finale a cui quest'anno, per ovvi motivi, non potrò partecipare. Abbiamo urlato come solo noi sappiamo fare e ci siamo abbracciate strettissime in una presa che non finiva più.
Mi erano mancate.

I miei 4 nonni si sono commossi nel rivedermi. Uno dei quattro non era sicuro che fossi stata in America, era piuttosto confuso. Gli altri mi hanno stretta forte e si sono seduti ad ascoltare i mille racconti dell'esperienza più bella della mia vita, senza mai interrompermi.

Sulmona
Tornare a casa, inutile starvi a raccontare altro, è stato meraviglioso. Come vedete tutti mi hanno fatto festa, anche quelli che non sentivo da tantissimo, perché alla fine chi si appartiene si ritrova, anche dopo che ci si è persi quasi del tutto.

In soli 7 giorni sono successe mille cose, tanto da non darmi neanche il tempo di disfare le valigie.
Ho rivisto la mia città, questa volta con occhi diversi, sono andata due giorni fuori con gli amici, ho festeggiato due compleanni, comprato pasticcini e nuovi vestiti, passeggiato per le vie del centro incrociando sguardi familiari, e ho anche forato la ruota posteriore del mio motorino.

Ho una lista enorme di cose da studiare che mi ha consegnato la mia scuola, ma ce la farò come ce l'hanno fatta tutti prima di me. Non ho intenzione di passare l'estate sui libri nè tantomeno di rovinarmela con ansie inutile. Non proprio ora che sono tornata con una serenità fuori dal normale.

Quindi eccomi.

Sono Livia, sono partita per l'America a 16 anni con mille incertezze e una sola certezza: quella di potercela fare. E l'8 giugno 2015, un anno dopo, sono tornata come una donna di 17 anni con la voglia di spaccare il mondo.

Sono dovuta andare 10.000 km da casa e fare un viaggio indescrivibile per capire che quello che volevo era proprio al mio fianco: casa.

Ma cos'è casa?

Casa è in Italia, dove sono nata e cresciuta, ma anche in America, dove ho lasciato metà del mio cuore. Mi hanno detto che lì si sente il vuoto, che la casa è silenziosa e che Erin pensa a me tutto il tempo, ma dall'altra parte dell'oceano questo non si sente, e un po' mi fa sentire in colpa.
Dall'altra parte dell'oceano c'è casino, ci sono le scampagnate con gli amici e i litri di birra, le passeggiate la sera e il motore sempre acceso, l'affetto dei miei genitori, le coccole appena svegli e il modo di vivere italiano.

E' pur vero che ogni tanto ci penso all'America e tendo a fare molti paragoni con quello che mi ritrovo qui, ma non è lo stesso. Non sente il vuoto, non mi manca, almeno non per adesso, non sento il bisogno di chiamare nessuno nè di farmi raccontare cosa succede lì.
Sarò egoista, ma mi basta quello che ho qui, la mia vita, i miei amici, le mie cose, me.

Finchè non tornerò a Minneapolis e nella piccola Shoreview, penserò all'America come al posto in cui sono cresciuta e rinata. L'America è grandiosa, mi ha dato educazione gratis, sport rigorosi, panorami mozzafiato e Mc Donalds. Non potrò mai essere abbastanza grata per tutto quello che ho ricevuto in quei 10 mesi lontani da casa.

Eccomi qui, a chiudere un capitolo e aprirne uno nuovo. Grazie a tutti voi che avete letto assiduamente, grazie a 20.000 e più che hanno aperto questo blog e letto qualche pagina. Grazie a chi ha lasciato dei commenti, a chi mi ha aggiunta su Instagram e a chi mi scriveva parole incoraggianti e complimenti in privato.
Per voi tutti: non è finita ancora. Scriverò alla fine dell'estate, dopo gli esami di riammissione e dopo gli esami di maturità, così da dare a tutti un quadro completo di cosa significhi essere un exchange student.

Spero di essere stata di aiuto a tutti coloro che hanno intenzione di fare un'esperienza del genere, e di compagnia per i pomeriggi di noia di quelli a cui piace restare a casa. Sappiate che io ce l'ho messa tutta.


Ieri ho finito di disfare le valigie e di mettere le ultime cose nell'armadio e mi sono resa per la prima volta conto che è finito tutto.
Il mio sogno americano, le strade di Minneapolis e gli abbracci della squad sono ormai cosa ben lontana, e non so quanti anni ci vorranno per riaverli indietro almeno per una settimana di vacanza.
Ho letto le lettere che le mie amiche mi avevano lasciato e ho pianto di nuovo, come lunedì sull'aereo. A loro, che sono state la mia salvezza e il motivo per cui andavo avanti in questi 10 mesi, devo tantissimo. Sono sicura che un giorno riusciremo a rivederci, anche se non saranno più in Minnesota, ma in chissà che parte del mondo a studiare al college.

Intanto il mio vestito del prom, i pon pon e la divisa da cheerleader, il vestito e il cappello del diploma, sono tutti chiusi in un baule in soffitta. Vederli in camera farebbe troppo male, così saranno lì ad aspettare il giorno in cui vorrò guardarli di nuovo e tornare indietro nel tempo.
Per l'America ho combattuto un anno intero, poi ho vinto e sono partita. Per l'America sono stata un anno via da tutto, poi ho pianto e son tornata a casa.

Quindi, ancora una volta, non finisce qui. E' finito un viaggio, ma questo è solo l'inizio di una vita di avventure.

La vostra italo-americana
Livia


domenica 7 giugno 2015

Final Countdown

You're gonna miss me when I'm gone.

Venerdì, dopo la fine della scuola e un gelato con le amiche, sono andata con Ruth, Katrina, Ana e Monica a vedere la partita dei Twins di baseball a Minneapolis.
Il baseball per gli americani è un mondo, quasi quanto il football. Fan accaniti spendono fino a 100$ per partita, e le partite ci sono 2-3 volte a settimana. Si mangia un hot-dog che l'omino con la scatola appesa al collo vende sugli spalti, e nelle pause della partita c'è la kissing cam sullo schermo come nei film.


Anche se siamo dovute andare via prima dei fuochi d'artificio e della fine della partita perché Ruth aveva il coprifuoco, è stata comunque una serata bellissima. Sono contenta di avere delle amiche come loro, che hanno voglia di fare 10.000 cose proprio come me. 

Sabato siamo andati dalla nonna per festeggiare la laurea del mio fratello ospitante. Abbiamo fatto un bel barbecue in giardino, con i mille colori della primavera e i fiori sbocciati. 
La sera sono poi andata con Damira, exchange student dal Kazakistan, a vedere Pitch Perfect 2, bel film che vi consiglio. 
(ps. Lo vedete quanto sono impegnata?) 


Quella sera la cugina Abi è rimasta a dormire da noi, quindi abbiamo deciso di passare la notte nella play house in giardino, tra chiacchiere e canzoni alla chitarra.
La mattina dopo siamo andati in Wisconsin a fare zip lining, una cosa pazzesca. Ho fatto un sacco di bei video di me che urlavo volando sospesa nella foresta. Un giorno ve li farò vedere (forse).



Lunedì è stato high school musical. Il giorno dei seniors, della fine di una fase della vita e inizio di una nuova pagina bianca. 
Alle 9.30 è tutto iniziato con la senior breakfast, cioè raduno di tutti quelli dell'ultimo anno per colazione all'università Bethel vicino scuola. 

Katrina, io e Ana alla colazione dei diplomandi

Alle 17 Ruth mi è venuta a prendere e siamo andate a Saint Paul per la cerimonia della graduation. Noi studenti dovevamo essere lì prima, nonostante iniziasse alle 19, per fare un po' di foto e preparare le file. 
La cerimonia del diploma è stata la ciliegina sulla torta di un anno fenomenale. 
Ci sono stati i discorsi dei due rappresentanti scolastici, del preside e di una professoressa. Poi ci hanno chiamati uno ad uno sul palco per prendere il diploma e alla fine di tutto, come nei film, abbiamo lanciato i cappelli in aria. Il mio high school musical è finito e non ci credo ancora. 






Quella stessa sera per festeggiare c'è stato il senior all night party, una cosa pazzesca che in Italia ci sogneremo. Il tema era monopoly e le decorazioni perfette. E' durato dalle 22 alle 4.30 di notte, ed è stata probabilmente la festa più divertente a cui io sia mai stata.
Il biglietto è costato un occhio della testa, ma ne è valsa decisamente la pena.
Questo il cartellone di tutte le attività/giochi che si facevano e a cui si poteva partecipare:


Essendo tornata a casa alle 5 di mattina, quando la mia host sister si stava svegliando per andare a scuola, quel martedì mattina ho dormito fino ad ora di pranzo. 
Poi io e Ruth siamo andate in palestra tutto il pomeriggio. Fare esercizio in compagnia è sempre mille volte più divertente e motivante. 

Mercoledì sono andata a pranzo con Priyanka da Noodles and Company e poi FroYo per dessert (il mio ultimo FroYo in America, ci ho lasciato il cuore e l'anima). Lei partiva Giovedì per l'India, quindi passare la mattinata insieme per salutarci per l'ultima volta è stato un gesto molto carino da parte sua. Nonostante non siamo state amiche strettissime quest'anno, lei è stata comunque una parte importante del mio exchange e quel giorno volevo ringraziarla. 

Quel pomeriggio sono andata da Cub con la mia host mum per fare la spesa per la mia festa di addio, che c'è stata Giovedì. Sono venute una ventina di persone, tutti gli amici più stretti e le persone che più mi sentivo di stringere un'ultima volta prima di lasciare andare tutto. 
Abbiamo mangiato hot dogs in perfetto stile Americano, torta al cocco in perfetto stile Liviesco e s'mores. 
Il bonfire finale è stato magico. Tutti noi intorno al fuoco con la chitarra e le canzoni che andavano, un paio di marshmallow sullo stecco ad arrostire e cioccolata a fiumi sui biscotti. Queste scene da film mi rimarranno per sempre dentro. E queste persone faranno altrettanto. 

Venerdì mattina mi sono incontrata un'ultima volta con Ruth, prima che partisse per la California. Siamo andate in downtown Stillwater per una pizza in compagnia, e poi abbiamo passeggiato sulla riva del fiume parlando di quanto essere amiche quest'anno ci abbia reso entrambe migliori. Mi mancherà stare con lei, è stata una persona fondamentale per me e per quello che questi mesi sono stati. 

La sera è stata meravigliosa, e scusate se continuo a dire che tutto in questa settimana è stato strabiliante, ma è semplicemente la verità. Tutte le cose più belle si sono concentrate negli ultimi sette giorni, che come dicono qui ''have been extremely intense''. 

Dicevo, quella sera io, Erin, Katrina, Kat, Ana, Sab e Monica (the squad) siamo andate in downtown Minneapolis per il concerto dei The Script. 
Mi ha dato una carica incredibile, come solo la buona musica sa fare, e quando è finito mi sentivo come se stessi camminando sulle nuvole. Ho pianto tanto, come faccio sempre, soprattuto durante ''The man who can't be moved'', quando io, Kat e Ana ci siamo strette forte pensando a quanto quel testo parlasse di noi. 
E' stata una serata memorabile, e non ho niente da aggiungere.


Ed eccoci qui ad oggi, Sabato 6 Giugno. Mentre voi state dormendo beati, io stanca morta mi affretto a chiudere questo post dopo una giornata lunghissima. 
Questa mattina mi sono dovuta svegliare relativamente presto per cominciare a pulire la stanza e concludere le prime cose. Ho fatto l'ultima colazione con pane e avocado, e poi mi sono chiusa in camera in una guerra tra me e le valigie. 
Già, questo giorno alla fine è arrivato. Dopo mesi di America, di vivere in un film, di alti e bassi, vittorie e sconfitte, ostacoli insormontabile e montagne abbattute, mi ritrovo improvvisamente alla fine del viaggio. 

Inutile dire che fare le valigie non è stato facile. Mi ritrovo con un enorme borsone extra e una gigantesca quantità di roba in più rispetto a quella che avevo ad Agosto, ma dopo ore e ore di concentrazione e tattiche di ''valigiamento'' posso dire che ce l'ho fatta anche io. 

Kat, Sab e Monica sono venute a casa per festeggiare questo piccolo successo, che anche loro non avevano speranze che ce l'avrei mai fatta a far entrare tutto. 
Abbiamo mangiato hot dogs e giocato ad Apples to Apples tutto il pomeriggio nella play house in giardino, come se non fosse l'ultimo giorno, come se non fosse l'ultima volta. 
Sembrava di essere ancora ad Agosto, quando tutto era appena cominciato, quando eravamo fresche e con la voglia di conoscerci. Ma la realtà è che è già Giugno, è ora di tornare a casa, ma non è facile da accettare nè per me nè per loro. 
Domani vado a New York, come feci ad Agosto. Mi fermerò lì un paio di giorni e poi l'11 arrivo a Roma. Non so ancora come mi sento, non mi riesco a capire. 

prima
dopo
Dopo questo round di valigie sono andata con Steve in Wisconsin un'ultima volta a vedere la loro nuova casa in costruzione, e poi abbiamo fatto un rilassante giro in canoa sul lago. Penso a quante cose mi perderò nei prossimi mesi ed anni. La casa sarà finita, loro si trasferiranno, Erin entrerà al college e forse mio fratello Alex troverà un lavoro stabile a Minneapolis. E' sempre vero che posso tornare qui quando voglio, ma semplicemente non sarà mai più lo stesso. 

Sono le 23.39 del 6 Giugno, le valigie sono chiuse e tutto è pronto, tranne che me. 

domenica 31 maggio 2015

Ultimo giorno di scuola

Certe storie non finiscono. Fanno giri immensi e poi ritornano.
Mi scuso per le due settimane che ho lasciato passare dall'ultimo post. Come potete immaginare, sto per tornare a casa e trovare tempo per scrivere è diventato veramente impossibile. Così oggi che sono appena tornata da un mini viaggio in Wisconsin, ho pregato Ruth di venirmi a prendere 1 ora più tardi per andare in palestra perchè ''I HAVE to write a new post''.
Quindi ciao a tutti.

La settimana di scuola dopo il Prom si e' parlato soltanto di una cosa: il Prom.
Il gossip si fa anche qui, e così: ma l'hai visto il vestito di Brittany? Ma ti rendi conto con chi è andato Aaron? Lo sapevi che il gruppo di Noelle ha preso una limousine bianca? E che Ryan è arrivato con un party bus della pantera rosa? Ho sentito che all'after party di Meredith e' arrivata la polizia!

Io mi sono fatta un po' i fatti miei. Ho avuto in quella settimana un compito di economia, uno di mate, uno di fisica e uno di geografia, e non tanto tempo per stare dietro ad altre cose.

Martedì sono andata a mangiare bagels dopo scuola con Erin e la mia hmum. Cannella e philadelphia alle noci, ci muoio insieme ogni volta per quanto sono buoni. Probabilmente gli ultimi che mangerò in America. (Notare che stavo per mettere la ''i'' nel verbo mangerò. Per favore Italiano torna nel mio corpo)
Mercoledì però, sentendomi già in colpa per il junk americano, sono andata a fare una corsa nel quartiere cercando disperatamente di mettermi davvero in forma per quando torno a casa.

Il weekend quella settimana è stato molto lungo, da giovedì 21 a lunedì 25 inclusi, per nessun motivo (o quasi). Grazie America.
Quindi Giovedì io e Sara ne abbiamo approfittato per stare insieme il pomeriggio e fare uno sleepover a casa sua. Ora che mancano davvero pochi giorni insieme, stiamo cercando di goderceli al massimo.

Venerdì 22 faceva caldissimo. Ho messo un vestito senza calzamaglia (wow) e sono andata con Erin e Damira a mangiare da Chipotle e poi a giocare a mini golf a Blaine. E' stato divertentissimo, anche se la media per me per fare buca era praticamente 10 ''shots'', o come si chiamano in italiano.


Sabato e Domenica io e la mia host family siamo andati invece in Iowa, ultimo stato che ho visitato durante il mio exchange. Siamo andati a visitare un posto meraviglioso costruito con le conchiglie e poi dormito nella roulotte della famiglia in cui abbiamo viaggiato.

la roulotte e il mio host dad
Questa settimana è stata impegnatissimissima. Settimana di caldo, esami di ''maturità'', fine della scuola, abbracci, addii, pioggia e armadietti.
Martedì sono tornata a scuola, stanca come non mai e con mille compiti da fare. Ho stretto i denti affrettandomi con gli ultimi progetti da consegnare e libri da leggere, sapendo che sarebbero stati gli ultimi.

Mercoledì hanno radunato i seniors nel teatro della scuola per la consegna di cap and gown, t-shirts, biglietti del diploma e certificati vari.

Il mio cap
Mi sono anche dimenticata di dirvi che ho ritirato l'annuario scolastico. Insomma, tutte cose americanissime da film.

La mia faccia nell'annuario
Il giorno dopo ho avuto a scuola una gara di economia a squadre. Ognuno rappresentava una nazione, nel mio caso la Thailandia, e l'obiettivo era quello di cercare di renderla più ricca attraverso alleanze e scambi internazionali, test di conoscenza, costruzione di progetti e ripagando i debiti. Noi non abbiamo vinto, ma ci siamo divertiti un sacco lo stesso.


E quindi eccoci qui, Venerdì ultimo giorno di scuola.
Prendere l'autobus giallo per l'ultima volta è stata una sofferenza. Durante il solito viaggio delle 6.30 di mattina, fatto ogni giorno per 10 mesi, ho ripensato a tutto quello che ho passato qui in tutto questo tempo. Al primo giorno con quel vestito grigio, quando non sapevo dove sedermi e se ci fosse una fermata a cui scendere; e anche all'ultimo, quando con la malinconia nel cuore ho detto ''buona vita'' all'autista.

Ultimo pranzo in mensa

L'aria a scuola era diversa. Tutti i ragazzi dell'ultimo anno erano vestiti eleganti, ma io non lo sapevo di questa tradizione, quindi sono stata inadeguata tutto il giorno con i miei soliti blue jeans e una t-shirt di New York.
Ho fatto le foto all'armadietto prima di svuotarlo e pulirlo di tutte le foto e i biglietti accumulati nei mesi, e l'ho lasciato lì, aperto, pronto per essere il nuovo compagno di avventure della prossima matricola che entrerà a scuola.

il mio armadietto

Per tutto il giorno ho avuto i cosiddetti ''esami di maturità'', che in America sono completamente diversi. Tedesco, matematica, AP macroeconomia, storia, fisica e un progetto di inglese. Sono sopravvissuta anche a questo.
All'ultima ora ci siamo radunati tutti in palestra dove un fotografo ha scattato la foto panoramica della classe intera, e dopo l'ultimo flash, in un urlo ''ONE FIVE ONE FIVE ONE ONE ONE FIVE'' ci siamo riversati fuori pronti a vivere la prossima fase della nostra vita.

Ma io no.
Non potevo andare via prima di salutare un ultima volta Mr. Washenberger, il mio professore di fisica. Lui che ha saputo sempre tutto, della mia stanchezza all'ultima ora e dei giorni con la voglia di urlare. Lui che contava i giorni con me, e mi aiutava in ogni progetto, e quando ha incontrato mia mamma a Febbraio ha esordito con ''lei ha una figlia geniale''.
Ha firmato il mio annuario dicendo che si aspetta che io faccia cose grandissime nel mio futuro, e io ho semplicemente risposto che lui mi mancherà.

Pioveva. Sono corsa via da scuola sotto un ombrello con Ruth e Lisa, pronte a festeggiare a North Oaks con un gelato. E quando la macchina si allontanava dalla Mounds View High School, non ho guardato indietro neanche un attimo.
Non potevo piangere un'altra volta.

Once a mustang, always a mustang.




giovedì 21 maggio 2015

Prom

I professori amici per una sera, il conto pagato per cortesia, il casino del ristorante, il vino innalzato al cielo nella preghiera ''Dio fa che non mi boccino'': si parla della cena dei cento giorni, italianata tipica.
Ma mentre a noi ci piace far casino, alzare la voce, brindare al futuro e saltare scuola il giorno dopo, gli Americani festeggiano l'ultimo ballo prima del diploma in grande stile.

Come dice il titolo di questo post, questo ultimo ballo Americano degli studenti dell'ultimo anno è il famoso Prom.
Ora, se la parola Prom non vi dice niente, sono sicura che lo avrete visto in almeno uno dei seguenti film (linkati i video delle scene):
  1. Twilight 
  2. Footloose
  3. Mean Girls
  4. Grease
  5. High School Musical
Sì, sto parlando proprio di quello. Il prom dai vestiti lunghissimi, i ragazzi in smoking, l'elezione del re e della regina, i balli lenti e i tacchi troppo alti, il sogno di ogni ragazza, una cosa che si vede solo nei film.

Ma io, essendo praticamente in un film da quando vivo qui, al prom ci sono andata.

Sabato mattina sveglia alle 8, maschera al bianco d'uovo con mia sorella e poi dritte al parrucchiere. Trovare appuntamento era stato difficile: tutti i parrucchieri della zona erano pieni con altre ragazze che si dovevano prepare per il ballo. Per fortuna a Maple Wood, soltanto 10 minuti da casa, c'era un hairstylist libera.

Finiti i capelli, già con tanta emozione, il mio host dad ci ha portate a casa dove ci aspettava Timur, l'exchange student che lavora come make-up artist. Ha fatto in 45 minuti un lavoro meraviglioso, ma non vi posto il prima e dopo perchè questi sono segreti che non si svelano, ciao.

Alle 2.30, vestito e tacchi messi, è arrivato Jaime alla porta. Jaime è un ragazzo spagnolo che mi ha invitata al prom, perchè al ballo si va sempre in coppia. E' venuto con un mazzo di rose rosse bellissime e mi ha aiutata a scendere le scale con il mio vestito lunghissimo, come nei film.


Ci siamo scambiati il boutonniere e il corsage, che sono i fiori sulla giacca del ragazzo e quelli sul polso della ragazza. Tradizione del prom americano è che il ragazzo li compra per lei, e la ragazza li compra per lui.

Dopo un paio di foto di me e Jaime fuori casa, siamo andati al parco di Roseville dove abbiamo incontrato il resto del nostro gruppo e il fotografo (padre di Kaisey) per fare lo shooting. Vedere tutti i miei amici in coppia, super eleganti, bellissimi e così americani è stato surreale.


Dopo due ore e passa di foto, con i genitori che facevano da paparazzi e il sole che non voleva uscire da dietro le nuvole, siamo andati a Minneapolis per la cena. 
Abbiamo mangiato in un piccolo ristorante italiano che si chiama Rinata e che devo dire, per essere in America, si è difeso piuttosto bene come qualità del cibo. Ho mangiato dei ravioli con la ricotta buonissimi e diviso un tiramisù che non sapeva di caffè con Katrina. 
Per la prima volta dopo tanto tempo ho riavuto a che fare con le mini porzioni da ristorante italiano, che qui in America se chiedi una porzione singola ti portano una quantità di cibo che manco dovessi sfamare una famiglia intera!

Alle 19 finalmente siamo andati al prom vero e proprio. Il locale era un hotel sul lago in centro a Minneapolis, Lake Calhoun Beach Club. 
C'era un terrazzino all'entrata dove arrivavano un sacco di limousine (perchè sì, molta gente al prom ci va in limousine) e 4 ometti in smoking che aprivano le porte. 


Nella sala vera e propria c'era una scalinata teatrale, su cui sono riuscita a non cadere (grazie Jaime per avermi tenuta stretta), dove un fotografo fotografava le coppie che scendevano. Molto da film.


Durante il ballo abbiamo ballo io e Jaime abbiamo ballato un po' di lenti, chiacchierato con gli amici sul terrazzo e spettegolato su coppie inusuali e vestiti orribili (perchè è la parte più divertente, ops). 
Verso le 10 le ragazze hanno cominciato a togliersi i tacchi, è arrivato il dj e ho visto un'onda di ragazze in abito da tappeto rosso ballare in pista come in una discoteca italiana. 

Il resto della serata è proseguita così. D'altronde i ragazzi sono sempre gli stessi ovunque nel mondo. 

Dopo il prom, ancora emozionatissima ed incredula, tutti quelli del mio gruppo (18 persone) siamo andati a casa di Sophia che ha una piscina al piano terra (ah, America, quanto mi mancheranno queste cose da miliardari). Abbiamo passato tutta la notte lì e verso le 4 siamo andati a ''dormire''. 

E beh, la mattina dopo è stata stranissima. Ho guardato il mio vestito e quello delle mie amiche appesi tutti in fila in camera di Sophia dalla notte prima, e mi sono chiesta se quel Sabato fosse stato un sogno o se fosse successo per davvero. 

Poi ho acceso il cellulare e i messaggi dall'Italia di tutte le mie amiche, del mio ragazzo e della mia famiglia, che avevano visto le prime foto, sono arrivati come un'ondata e mi hanno ricordato che questo non era solo un film. E' stata una bellissima realtà. 








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