martedì 22 dicembre 2015

Amore 2.0

Ci chiamano generazione 2.0.
La generazione 2.0 che si innamora a 14 anni.

Si innamora a 14 anni, in un qualsiasi giro in centro, quando per combattere l'ansia di vivere ha bisogno di scaldarsi il cuore.
Si innamora su Facebook, girando profili in cerca di compagnia, e in discoteca per trovare un diversivo. Incrocia sguardi passeggiando e ne sceglie uno, uno qualsiasi, uno che gli possa far fare bella figura nelle foto su Instagram e che sia popolare su Twitter così i seguaci lievitano a vista d'occhio.
Il loro amore è così profondo che sbandierarlo sui social è inevitabile, così veritiero che lo stato di Facebook passa da single a ufficialmente impegnato. E per ogni rosa c'è una foto, per ogni bacio un selfie con citazione dal libro di filosofia del liceo, per ogni mesiversario un poema di 3 pagine per giurarsi amore eterno.

Poi ci sono io.
Io e gli altri pazzi che si innamorano sul serio, a 14 anni, e che non mollano la presa perché hanno bisogno l'uno dell'altro. Per anni, o per sempre, camminano per mano e non la vogliono smettere.

C'è una lei che ha cominciato presto. Era piccola, un po' spaventata, ma non abbastanza da non sentire il bisogno di farsi avanti, smuovere le cose, non perdere un attimo di tempo.
Bea in quegli occhi verdi ci vedeva il mondo e tutti i pianeti, ed ha imparato ad amarli, col tempo; ed è lì che ha cominciato a cambiare. Sì è allontanata dalla generazione 2.0, assumendo una spaventosa consapevolezza della sua diversità. Inusuale per un metro e settanta di ricci marroni.
Inusuale per una cinica e permalosa, che viveva in attesa del suo Richard Gere come in Pretty Woman, giurando di non accettare mai nulla che fosse meno di ciò che voleva.

Ma Bea è una bambina, e una bambina è una donna, e vuole i fiori a casa, le coccole sotto le coperte, le sorprese fuori casa, le fughe e le avventure. Bea è il centro dell'universo, vuole essere rassicurata, e ha bisogno di un Richard che non abbia difficoltà a mostrare, con gesti e parole, quanto la sua piccola 14enne sia importante.
Così un giorno ha letto troppi libri, ha riso troppo forte, ha ingoiato troppo vino, ed è andata via. Ha detto ciao a tutta la sua vita, si è voltata, e ha fatto un'altra strada per la via di casa per bisogno di aria nuova.
Lì, su quella stessa via che per 3 anni ha visto i loro passi affiancati e coordinati.

Bea infondo non è della vostra g-e-n-e-r-a-z-i-o-n-e 2.0. I mi piace a quella tipa non le sono mai piaciuti e il suo Richard doveva avere una sola donna, non 5. Forse non si bastavano più.
D'altronde lei si conosce, lei lo conosce. Conosce a memoria tutti i suoi sbagli, e quelli di lui, e sa che si erano persi sulla via del fatidico ritorno, e che davvero, forse per la prima volta, mettere un angolo alla pagina e chiudere il libro per riprenderlo più tardi, dallo stesso punto in cui lo aveva lasciato, era la scelta giusta.
Ma Bea la porta l'ha chiusa piano piano mentre la generazione corre veloce. Nuove facce su Facebook si tuffano in una chat pulita, appena aperta, pronte a mangiare il suo caro vecchio Richard. Che in quel boccone ci capiti un nuovo riccio tenerino è il suo augurio. O meglio, è la sua speranza per il suo Richard 2.0. Due punto zero, nuovo, irriconoscibile, come i ragazzi di questi tempi, malati di assenze, incapaci di presenze. Ssh, è ora di fare silenzio su Whatsapp, non c'è tempo per amori 2.0, l'upgrade delle nostre relazioni.


lunedì 7 dicembre 2015

Cosa vuoi fare da grande?

Cosa vuoi fare da grande è una domanda che ci viene chiesta da quando abbiamo 3 anni e sogniamo di essere ballerine, astronauti e presidenti, a quando arriviamo a fare una scelta concreta. A quel punto, ci lasciano in pace. Si presuppone infatti che se sei regolarmente iscritto a Medicina alla Cattolica e frequenti allegramente, allora ''da grande voglio fare il medico''.
Ma per arrivare a scegliere quella benedetta facoltà, eccome se si suda.

Ci chiedono cosa vogliamo fare da grande durante tutti gli anni delle scuole, e noi magari un'idea anche ce l'abbiamo ma la teniamo per noi stessi. Sarà la paura di non essere all'altezza o l'amara consapevolezza che l'idea è troppo lontana e troppo grande per essere realizzata, e ci limitiamo sempre a un ''c'è tempo''.
E' vero, c'è tempo per pensarci, c'è sempre stato tempo, dato che è da anni che uso quella risposta per sviare il discorso e allontanare l'ansia. Ma quando si arriva a 18 anni, al primo quadrimestre di Liceo Scientifico, con una responsabilità enorme sulle spalle, la scusa del tempo non vale più. E cosa rispondiamo?



Penso che vorrei fare la video maker, montare i trailer di Hunger Games per far impazzire milioni di spettatori nell'attesa; la youtuber, e incontrare Pewds nello Youtube Space a Los Angeles, quando ci passa; la life style photographer, e girarmene beatamente per il mondo come fanno Jay Alvarrez e Alexis Ren e la loro vita perfetta; la blogger, ma non di questo blog, di qualcosa di enorme e di successo. Vorrei fare un progetto come il Follow me di Murad Osmann per viaggiare in tutto il mondo, e la modella di Victoria's Secret a cui si specchia metà popolazione femminile; la designer di interni per lavorare sugli attici di Beverly Hills e far vivere super star in capolavori di case e la graphic designer così questo sito sarebbe un po' più carino.

Alla fine, dopo una serie di pensieri che si susseguono velocissimi e che non faccio in tempo a delineare per bene, dopo un paio di film ed essermi immaginata surfista sulle onde di Miami e ginnasta alle olimpiadi di Londra che manco un Oscar mi basterebbe come premio, rispondo che farò i test all'università e poi 'vedremo come va'.

Sì, vedremo come va a vivere le mie decine di seconde storie nella mente per una vita intera, e a precludermi di provare a fare qualcosa di alternativo solo per il gusto di aver tentato.
Anche se forse va bene così, che se fossimo tutti youtuber gli spettatori non li farebbe nessuno.

venerdì 20 novembre 2015

Scuola Italo-Americana

Vivendo un anno all'estero, si notano notevolmente le differenze tra il paese in cui si sta vivendo e il proprio paese di origine. Nel mio caso, America-Italia, le discrepanze erano piuttosto evidenti.
Occupazione, economia, mentalità, possibilità di realizzarsi: potrei stare qui ad elencare milioni di cose che non combaciano tra ''i miei due mondi''.
Ma c'è una cosa in particolare che mi ha lasciato mesi da riflettere: la high school e il liceo messi a confronto.


A differenza di quanto molti di voi possano credere, non scambierei la mia scuola italiana per quella americana, a favore di club, cheerleader, armadietti e le solite cose da film. Piuttosto, la mia scuola ideale è una scuola Italo-Americana, una scuola in cui le mancanze americane siano riempite dalle eccellenze italiane e le nostre intransigenze vengano smorzate dalle loro libertà.

Nella mia scuola Italo-Americana si entra alle 8.20 come nel bel paese. Con la mente riposata e una giornata scolastica più corta, diventa facile concentrarsi.
Le ore sono da 54 minuti, con una pausa di 6 minuti tra una e l'altra, come una breve ricreazione del passing time americano, ma senza il loro tran tran ansiogeno. Cioè, in quei 6 minuti non si va all'armadietto correndo per cambiare i libri e arrivare alla prossima aula dall'altra parte della scuola in orario, ma si chiacchiera comodamente in classe o per il corridoio con gli amici per rinfrescarsi la mente e concedersi una breve pausa.
Gli armadietti sono assegnati ad ogni alunno e allineati per il corridoio come negli US, così che le cose che non servono a casa ma solo in classe possono stare lì in modo da alleggerire lo zaino da portarsi sulle spalle.

I compiti in classe e le interrogazioni derivano direttamente dal sistema scolastico Italiano: in America non viene abbastanza impartito un metodo di studio efficiente e non viene insegnato a tutti a sostenere colloqui formali, cosa che invece trovo indispensabile per la formazione dello studente.
Addio quindi test a crocette, progetti di gruppo dove alla fine lavora un solo malcapitato e programmi che non lasciano niente a chi li ha seguiti.

I programmi sarebbero un perfetto connubio tra Italia e America. Decisamente meno impegnativi dell'Italia, ma più formativi di quelli americani. Ho sempre trovato inutile quanto la scuola italiana porti a specializzarsi in tanti ambiti, e la maggior parte delle conoscenze acquisite vengano poi dimenticate e mai sfruttate, perché all'università si decide di studiare qualcosa di completamente diverso (metti la chimica organica del liceo scientifico, e giurisprudenza).

Dal Lunedì al Venerdì si affrontano 5 materie al giorno, nella propria classe e sempre con gli stessi compagni, in modo da favorire un ambiente più familiare e amichevole e la creazione di un team, come di solito avviene qui.
Il Sabato invece è il turno di 5 corsi a scelta dello studente su modello Americano: si ha così la possibilità di cambiare classe ogni ora e instaurare connessioni con un maggior numero di studenti, e l'occasione di imparare qualcosa di originale rispetto alle solite materie italiane e studiare cose attinenti al proprio piano di studi universitario.
Ad esempio un ragazzo che è interessato a studiare economia dopo il liceo, potrebbe frequentare la classe di macroeconomia 1 ora a settimana il Sabato.
Chi ha voglia di cimentarsi in un nuovo hobby, ha a disposizione corsi di fotografia, yoga, cucina, video making, scrittura creativa, web design (...)
Quelli che vogliono entrare a medicina, possono seguire corsi di ripasso e approfondimento delle materie scientifiche degli alpha test.

Il rapporto professore-studente è decisamente meno rigido. I professori sono giovani e continuamente stimolati con corsi di aggiornamento, workshop e seminari sui nuovi metodi di insegnamento.
Così la tecnologia sarebbe parte integrante dell'ora di lezione, proprio come negli States.
Ad ogni alunno sarebbe concesso portare il proprio portatile/iPad/smartphone per prendere appunti, seguire la lezione online e fare esercizi, che rende l'apprendimento molto più veloce.

Come in Italia, al liceo niente mensa e all'1.20 si torna a casa.
Il carico dei compiti però è inferiore, dal momento che la maggior parte del lavoro si concentra durante le ore di lezione.
Piuttosto, i ragazzi sono incoraggiati a prendere parte alle attività pomeridiane: club e sport, che sono parte integrante della vita scolastica.

Se fosse davvero così, se la scuola potesse trasformarsi in questo connubio perfetto, io sarei cresciuta cheerleader italiana, avrei dato maggior valore allo sport, ai miei hobby, avrei vissuto la scuola con molta meno ansia e avrei sfruttato meglio il mio tempo.
Senza quelle corse di ripasso dell'ultimo giorno e gli esami di stato che mirano ad assegnarti un voto sulla base della prestazione di una settimana di giugno, come se tu non fossi quella dei cinque anni precedenti (e dei 13 ancora prima), io sarei più me e meno Masci di Quinta E.

Io sarei più ragazzina e meno universitaria.
Io sarei più cultura generale e meno specializzazione.
Io sarei più umana e meno numero.


domenica 15 novembre 2015

Ma perché?

Travolta dal vortice di stragi e di uccisione dell'Isis a Parigi, ho avuto modo di riflettere molto. Ho avuto modo di pensare a quante vite, soprattutto giovani, sono state private del loro futuro e quante famiglie, le loro, sono rimaste sole con un vuoto incolmabile. 

Pensiamo ai likes su Facebook, a prendere più del nostro amico all'interrogazione, a lamentarci per problemi inesistenti, ad essere superficiali, materialisti e moralisti, quali siamo e siamo sempre stati, e intanto vite bruciano e volano via, e ogni volta che ci svegliamo rimaniamo sorpresi della crudeltà che c'è la fuori e inventiamo nuovi hashtags come se un #prayforparis buttato lì possa giovare a qualcuno. 

Insensibili, lontani, rimaniamo pietrificati a sentire di tali carneficine. E non parlo solo di Parigi e dell'Isis, ma di qualsiasi morte bruta, di qualsiasi malattia cattiva, di qualsiasi morte precoce, di qualsiasi dolore atroce. 
Tendiamo sempre a pensare che non tocchi a noi, che 'povera gente'. Stiamo male per gli altri, ma ci pensiamo inattaccabili. E da inattaccabili continuiamo con la nostra vita di sempre, dando importanza alle più grande stronzate e non a quelle che se la meritano, mentre compatiamo gli altri, che siano i Parigini, compaesani o chissà chi. 

Ho visto quella signora che ha perso il padre, e ho sentito a Parigi di centinaia di persone spente negli attentati, perché il mondo è veramente ingiusto. 
Ho visto ragazzini perdere genitori, volati via per motivi ignoti, spazzati via dal vento in un attimo. Oggi ci sono, domani no. 
Se quello non è un vortice, spiegatemi cosa lo è. 
Ho visto amiche piangere per un nonno che ha chiuso gli occhi e non li ha più riaperti, e le abbracciavo forte, mentre io di nonni ne avevo 4 e lo consideravo 'bello e normale'.
E io penso in tutto questo, di essere al sicuro.

Livia, non è così.

In questa normalità che ho scoperto che di scontato non c'è nulla. Che di invincibile non esiste nessuno. Che la vita è talmente effimera e leggera da spegnersi per un colpo di vento. E da 4 nonni, quella stessa settimana, sono passata ad averne 3. 
Mi continuo a chiedere perché non mi sia meritata di avere una nonna con cui festeggiare il giorno dei miei 18 anni, una a cui raccontare di ogni mia scelta e con cui ridere delle mie figuracce; quella con cui ogni partita a Burraco finiva con un 'nonna culo' e ogni puntata di verissimo era associata alle coccole e al pisolino. 
Credo che le stesse domande se le stiano ponendo i Francesi davanti al Bataclan.

Non sono inattaccabile, ma sono fortunata. 
Fortunata per essere stata attaccata adesso e non prima, perché per così tanto tempo ho avuto un'altra Livia a cui specchiarmi e con cui passare gli abbondantissimi pranzi. 
Fortunata nonostante stamattina un'ennesima notizia mi abbia mirato e abbia fatto nuovamente centro. Siamo così stupidi, così distratti, che continuiamo a scordarcelo di dire grazie per quello che abbiamo. Me ne sono dimenticata un'altra volta, e quando me ne sono ricordata, era troppo tardi.

Quell'abbraccio sarebbe dovuto essere più stretto.. tutti noi, dovremmo abbracciarci più stretti. Dovremmo dire grazie, sentirci fortunati, apprezzare la presenza di chi amiamo.

Non siamo mai al sicuro.
Un altro pianto.
Un altro si va avanti.
Un'altra botta che non nessuno si merita, a 18 anni.

lunedì 9 novembre 2015

Ho 18 anni

Ho 18 anni e non so cos'è cambiato.
Se non fosse che ora posso finalmente prendere il foglio rosa e firmare le giustificazioni a scuola, se non avessi festeggiato così in grande, sarebbe stato veramente un compleanno come un altro.
Ho guardato la data di nascita sulla carta d'identità e ho pensato di avere dal quel momento molto più potere. Quella firma adesso ha un valore legale. Ma mi sento la stessa e sono la stessa. E' davvero cambiato qualcosa?
Posso guidare la macchina, andare in carcere, sposarmi, fare un tatuaggio e decisioni permanenti senza il bisogno dei miei genitori, ma poi concretamente?

Lunedì c'è ancora la scuola, tutti in classe alle 8.20 quando avremmo voglia di fare ben altro. 18enni reclusi in classi da una vita, che hanno la mente all'università e il corpo ancora davanti alla lavagna per l'interrogazione.

Martedì c'è il colloquio scuola famiglia per i ragazzi indipendenti ma dipendenti come noi di quinta.

Mercoledì mamma mi accompagna in centro perché non so guidare e fa troppo freddo per prendere il motorino, mentre io a 18 anni vorrei avere la mia personal fiat 500 e girarmi il mondo.

Giovedì devo chiedere il permesso per andare in bagno alla professoressa, perché a 18 anni sono responsabile del mio futuro, ma non del mio viaggio nel corridoio della scuola.

Venerdì chiedo 10 euro ai miei genitori per andare in pizzeria con gli amici perché posso avere un lavoro e una famiglia, ma devo andare a scuola a dipendere da altri.

Sabato vado a comprare le sigarette ma mi chiedono un documento perché non sono una diciottenne credibile.

Domenica capisco che avere 18 anni non significa nulla. 18 anni sono come 17. 18 anni sono come 19. 18 anni sono la semplice formalità che abbiamo dato ad una ricorrenza personale, come se io dal 28 al 30 Ottobre fossi diventata una persona diversa.
Io continuerò ad avere 17 anni, se la piena indipendenza ed autonomia nelle scelte e nelle azioni che mi è stata data, continuerà ad essere solo apparente.

18 anni, cosa?


mercoledì 21 ottobre 2015

Perché l'Italia?

Sono tornata ormai da tanti mesi, ma ora più di sempre mi sento dire da tanti: 'ma cosa fai qui? perché non torni in America?'. Si stupiscono della mia riposta, del mio sincero dire che al momento preferisco l'Italia, perché per tutti l'America è la salvezza, il sogno, la vita vera. E l'Italia a confronto non vale nulla.
Ora vi spiego perché non è così.

Perché l'Italia?
Americani, io preferisco l'Italia sin dal mattino. Mi sveglio alle 7.30 con molta calma, con la scuola che inizia soltanto alle 8.20  (e a volte anche dopo). Senza la rituale sveglia delle 5.30/6 di Shoreview e la classe di matematica alle 7.15 si vive molto meglio.

Affronto le mie 5 ore di lezione, intense per davvero, senza cellulare, ipocrisie e perdite di tempo, consapevole che la formazione liceale italiana sia molto valida.
Do' del Lei ai miei professori, per imparare il rispetto verso gli adulti che mi porterò dietro tutta la vita.
Posso girarmi quando voglio a chiedere un aiuto, e posso confrontarmi con i compagni di classe se ho bisogno di un consiglio. Li conosco da sempre, da 5 anni a questa parte, e siamo cresciuti insieme nel vero senso della parola.
Non ho 6 classi da cambiare a semestre come voi: ogni mattina darò il buongiorno sempre ai soliti 19 sorrisi (o bronci, certo, dipende dalla giornata) e questo mi da' stabilità e sicurezza.

Prendo l'iPod e torno a casa a piedi, ma non prima di essermi fermata sulle panchine con alcuni dei soliti 19 per una sigaretta, una risata e un resoconto della giornata. Così il buongiorno diventa più bello.
Non abbiamo fretta, né allenamenti improrogabili di 3 ore a pomeriggio. Torniamo a casa per pranzo, niente mensa americana che preferisco dimenticare. Piuttosto dopo una lunga giornata di scuola, ogni giorno c'è sul tavolo il rituale piatto abbondante di pasta.

Preferisco l'Italia quando guardo l'armadio e dopo una lunga e studiata scelta su cosa mettermi, esco e guardo intorno a me persone con lo stesso gusto per il bello. A scuola nessuno viene in ciabatte, pigiama o sweat pants come a voi piace.
Non ho difficoltà a trovare un paio di jeans di un buon tessuto o una maglietta con un taglio che mi stia bene. La moda italiana è il meglio che si possa trovare, anche nel low cost.

Noi italiani apparecchiamo la tavola per i pasti, e ci sediamo tutti intorno allo stesso tavolo per prenderci almeno quei 30 minuti di family time al giorno. Forse non ci pensiamo, ma non è così in tutto il mondo. I vostri pranzi (grassi) di avanzi della settimana mangiati sul divano, in giardino o addirittura sul mio letto da sola, capirete bene che non mi mancano per niente.

Come non mi manca neanche correre tra una classe e l'altra, allenarmi fino allo sfinimento, non poter saltare una giornata di sport, né una giornata di scuola per dormire un po' di più. Voi siete rigorosi, severi, e so che sono qualità che dovremmo ammirare, ma noi Italiani questa durezza non ce l'abbiamo nel sangue e non c'è niente da fare: there's no place like home.

Preferisco l'Italia quando ci si incontra alle 8/8.30 perché siamo tutti cresciuti con i 30 minuti di margine, anche se poi è classico che si finisca per arrivare alle 9.
Viviamo come i bradipi, con il nostro pisolino dopo pranzo, l'aperitivo dopo scuola con tutta calma, i ritardi all'ordine del giorno, gli allenamenti che si possono saltare quando ''oggi proprio non mi va''. Senza questo stile di vita non saremmo noi.

Il nostro clima è invidiabile. Abbiamo vere estati e veri inverni e soprattutto le mezze stagioni, ormai scomparse nel resto del mondo. Viviamo in montagna e in qualche ora siamo al mare. Viviamo al mare e l'inverno andiamo a sciare. Abbiamo le isole per le vacanze estive e le Alpi per quelli invernali e tutta la varietà che si possa desiderare in così pochi chilometri di raggio.

Quando ho bisogno (o voglia, soprattutto) di fare shopping, ho a disposizione centri commerciali ma anche centri storici che offrono una grande varietà di scelta. Ma ascoltate bene: nel caso scegliessi i primi, pur essendo sotto i 19 anni il Sabato e la Domenica posso passeggiare con le mie amiche senza essere accompagnata da un adulto. Voi rimarreste stupiti di questa nostra libertà, ma vi assicuro che un po' di indipendenza non guasta.

Amiche? A proposito, sapete che le saluto con due baci sulla guancia, una bella stritolata e tante tante chiacchiere? Mi fermo ovunque, che sia per il corridoio a scuola o nel centro città, per sapere come stanno, per chiedere aggiornamenti e farmi una risata. Non mi sono mai piaciuti i vostri 'sup' di sfuggita che non lasciano niente a nessuno e che non hanno nulla a che vedere con il nostro calore.

So che ci invidierete le nostre serate in discoteca, con ingresso aperto a tutti ma davvero tutti e non dai 22 anni in su. Sigarette, alcol, spesso anche droghe purtroppo: noi esageriamo, avete perfettamente ragione, ma almeno un bicchiere di champagne ai ragazzini per capodanno perché non glielo concedete?

Preferisco l'Italia perché posso iscrivermi all'università pubblica senza essere costretta a fare un mutuo, e posso imparare l'indipendenza senza dover vivere in un dorm con pasti preparati e orari controllati obbligatori.

Credo sia inutile continuare a dirvi di quanto qui si viva bene, sebbene ci sia l'altra parte della medaglia che tende a volte a sovrastare il lato positivo. Non conoscete le nostre acide tasse, l'alta disoccupazione, il classico raccomandato, la benzina d'oro, i trucchi, gli imbrogli, i fallimenti, la corruzione, la crisi.
E c'è anche da dire che i miei giudizi provengono dalla mia esperienza limitata a 10 mesi, probabilmente non perfettamente rappresentativa di un'intera nazione così grande come lo sono gli Stati Uniti.
Eppure..

Eppure ve l'ho detto, non mi mancate.
Io sono nata e cresciuta, appartengo e continuerò ad appartenere a questa società di bradipi.
Voglio continuare a svegliarmi tardi e fare ritardi, a stroccare il giorno di San Cosimo e portare giustificazioni ingiustificate. Voglio essere una cristiana incoerente con il crocifisso in classe. Voglio lamentarmi del governo che non funziona e di aver votato il solito politico sbagliato. Voglio riandare in vacanza in Sicilia e fare tocca e fuga verso Roma, passeggiare per il Corso mangiando il mio cartoccio di castagne o un gelato gigante, anche se ho appena finito un piatto di pasta. Voglio vedere il cielo che tramonta dietro le montagne dopo una giornata passata a studiare per un'interrogazione, e non voglio mai smettere di sventolare la bandiera italiana anche se tendiamo a nasconderla.

Dobbiamo invidiare l'America o dovete invidiarci l'Italia?
Tocca a voi dirlo.



mercoledì 23 settembre 2015

Esami di Settembre

Playlist per la lettura: Jovanotti - Pieno di vita

Vi anticipo che sarà un post lunghissimo, nonché probabilmente l'ultimo sulla mia America. Abbiate cura di gustarvelo fino in fondo. Spero che post come questo vi mancheranno.

Eccomi al termine di un percorso, che in realtà ho già decretato più volte finito: con gli esami integrativi di Settembre e la riammissione in classe quinta, non sono più ufficialmente un'exchange student, ma (forse) semplicemente una studentessa di Liceo Scientifico.
Che io ne sia contenta o no, poi, questa è un'altra storia.

Sicilia
3 mesi di Estate alla fine non sono niente. Si vivono intensamente, si è impegnati con le mille cose da fare, le liste di buoni propositi mai mantenuti, e poi alla fine si finisce per pensare di aver perso tempo.

E così anche per me: l'estate mi è sembrata sfuggire dalle mani.
Sarà che avevo troppe cose da ''recuperare'', mettiamola così, e non solo scolasticamente parlando ma anche (e soprattutto) umanamente, con questa voglia pazzesca di stare con le persone che non avevo visto per 10 mesi, godermi il caldo che ai -40° Minnesotiani mi era mancato, leggere tanti libri rigorosamente in Italiano, essere turista del mio stesso paese. Insomma, volevo godermi casa.

Eppure di cose ne ho fatte. Sono stata al mare per ben due mesi, ho passato un bel weekend a L'Aquila con la mia squad Interactiana, ho festeggiato svariati compleanni, partenze, ritorni, battesimi, mangiato pizza in quantità vergognose, abbronzata da far concorrenza a parecchi miei amici americani del sud (anche se ormai la tinta l'ho già persa quasi del tutto).
Sono stata in Sicilia con tutta la mia famiglia, in una vera e propria 10-days-road trip all'Americana: di città in città, la costa di un'intera regione.
E poi? Poi ho fatto grandi nuotate, sono stata una damina del Medioevo per due giorni, ho incontrato a Roma la mia amica tedesca Lea, e sono stata al concerto di Fedez e Jovanotti.

Giostra cavalleresca di Sulmona

Insomma, posso dire che non mi sono fatta mancare niente.

Dall'altra parte però c'è stato lo studio spesso intenso per gli esami integrativi di Settembre, il cui unico scopo era quello di assegnarmi il numero di crediti per la classe quarta, dato che comunque ero promossa all'ultimo anno per legge.
Vi riporto qui la mia esperienza personale in maniera sintetica, ma sappiate che

  1. Le modalità dell'esame integrativo variano da scuola a scuola. Alcune danno tutto il programma di tutte le materie (e vi giuro a quel punto vi consiglio di cambiare scuola), altre un programma ridotto, e altre ancora non prevedono un esame ed assegnano il numero di crediti in base ad altri criteri (quali 8 crediti massimi per il coraggio di fare un'esperienza così fantasmagorica mitica, oppure gli stessi crediti della terza, o ancora i crediti in base alla media nella scuola straniera, ecc.)
  2. se avete altre domande mi fa piacere rispondervi, e come sempre sapete che potete scrivermi su Facebook, Instagram Direct o qui sotto nei commenti

Quindi, io ho portato 2 materie scritte (italiano e matematica) e 7 agli orali (italiano, fisica, chimica, latino, filosofia, storia, storia dell'arte). Le date degli esami sono state il 2, 5 e 8 Settembre.
L'estate ho studiato molto da autodidatta, ho fatto un paio di lezioni private di matematica e soprattutto la dolcissima e santissima Dalì mi ha sopportata tutta l'estate e mi ha aiutata con tutti i programmi. Quindi, davanti a centinaia di persone che leggono, le dichiaro ufficialmente il mio amore, perché auguro anche a voi di trovare un'amica come lei.
Grazie Dalì.

Posso dire che questi esami sono andati molto bene. Il colloquio è stato parecchio informale, ho risposto a tutto e mi pare di aver fatto una bella impressione. E alla fine, 7 crediti.

Cari dubbiosi o decisi futuri exchange students, il ritorno non è come ve lo raccontano.
Non avrete lo shock culturale inverso, né grandi difficoltà a reintegrarvi nella società italiana. Non vorrete immediatamente tornare in America, né prenderete 3 ad ogni compito in classe di quinta.
Il ritorno è quello che è: semplicemente un mattone in più nel muro del vostro grande percorso.
Come avete sopravvissuto l'interrogazione di Latino quando non avevate aperto libro, la frattura al polso che faceva malissimo, la paura di salire sul palco davanti a una grande platea, supererete anche questo.
Non vi nego che dovrete darvi da fare però.
Quest'estate per esempio ho passato tante (forse troppe) ore sui libri anziché sul lettino dello stabilimento, e troppo tempo a studiare anziché vivere, ma non me ne sono mai fatta un cruccio. Ripeto, faceva parte del mio percorso, e come ne ho accettato i lati positivi, in quel momento bisognava incassarne i negativi.
E poi ho dovuto correggere il mio rapporto con la ''società''. Dopo la prima settimana non ero più quella che era andata in America, ma ero Livia Masci punto, e per fortuna non l'ho capito troppo tardi. Sono scesa dal piedistallo, ho fatto una parola di meno quando andava fatta, ho cominciato a raccontare molto di meno della mia esperienza e piuttosto a fare io domande agli altri. ''Raccontami, che hai fatto quest'estate?, ma davvero?, che bello sono così contenta per te! Io?, sono stata molto bene in America, grazie, ma comunque, dicevi di te?''
In classe mi nascondo quando mi tocca parlare in inglese e tendo a sviare il discorso quando si parla troppo di me. Forse ho preso una posizione un po' estremista, e per non essere superba sono diventata estremamente umile, ed è sbagliato anche questo. Ma lo faccio semplicemente per paura di passare per quella che è andata in America e ora è sul piedistallo del mondo. Vi giuro, quella non sono io.

Ci siamo: andiamo a tirare le somme?
Bisogna affrontare giorni di estrema nostalgia, un Natale fuori casa, la voglia di tornare a casa, qualche kilo accumulato e diverse paure da superare. Ci si deve sentir pronti a partire bambini e tornare adulti, con tutto quello che comporta. Sappiate che rideranno di voi, in Italia e in America (o ovunque andiate), perderete qualche amico, riceverete delle occhiate invidiose e magari ci rimarrete anche male. Ma se vi capita quest'opportunità, davvero, non lasciatevela sfuggire.
Abbiate il coraggio di lasciare casa, nonostante l'anno di scuola da recuperare; non lasciatevi spaventare da niente di quello che altri vi hanno raccontato. Se una come me, che di difetti abbonda, è riuscita a farcela ed è tornata anche soddisfatta, allora perché non ce la potete fare anche voi? Ascoltatemi, ce la farete.
Ce la farete dall'altra parte dell'oceano. E al reinserimento, ce la farete da questa parte dell'oceano.

Questa parte dell'oceano: CASA

E a proposito di questo ho qualcosa da dire. Spero che qualcuno di voi si sia accorto nel cambiamento nel nome del mio blog. Da ''dall'altra parte dell'oceano'', si è fatto spazio un sottotitolo: ''da questa parte dell'oceano'', a significare che sì, questo sarà l'ultimo post ufficiale sull'exchange year, ma la mia avventura non finisce qua. Ci saranno così tante altre cose da raccontare negli anni che meriteranno di essere condivise.
Incoraggiata da tanti lettori entusiasti, ho così deciso di continuare a scrivere, per rimanere un punto di riferimento per chi vuole partire, ma spero anche per chi vuole restare.
Per condividere pezzi della mia vita, pensieri vaganti e perché no, magari anche altri viaggi.
Sappiate che la WEP mi ha contattata per diventare Wep Buddy, così se deciderete di partire potrete chiamarmi via telefono per un consulto e farmi domande, potreste ritrovarvi una Livia davanti all'orientation pre partenza, come testimone agli Infoday o assistente negli uffici Wep. Insomma, di me non vi libererete alla fine.
Per chi ha voglia di non perdersi i prossimi post, da adesso ci si può iscrivere alla newsletter sulla versione web del mio blog.

Vi ringrazio per avermi accompagnata in un bellissimo anno. Spero di essere riuscita a trasmettere il messaggio giusto e di aver fatto vivere anche a voi un po' di America. Per chi ne ha intenzione continuate a scrivermi, a fare quelle mille domande incuriosite a cui amo rispondere.

E a chi ne ha l'opportunità: partite.
Ne vale la pena.
Salutatemi dall'alto di quel finestrino il resto del mondo e fatevi brillare gli occhi per la gioia di una nuova avventura.
Stay awesome

Livia

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